Judy Dench, l’insospettabile “nonnina” inglese che passò i segreti dell’atomica al Kgb

In sala dal 9 maggio (per Vision Distribution e Cloud 9 Film), “Red Joan”, il film di Trevor Nunn dedicato alla storia vera di Melita Norwood, la donna inglese che ha passato all’Urss i segreti della bomba atomica e ha continuato a vivere una vita assolutamente normale fino ad 85 anni. Dal libro, “La ragazza del Kgb” di Jennie Rooney (Piemme edizioni) con Judy Dench, splendida protagonista …

Ci sono svariati motivi per godersi i 105 minuti di proiezione di Red Joan, il film di Trevor Nunn che racconta la storia dell’unica donna inglese che ha passato all’Urss i segreti della bomba atomica e ha continuato a vivere una vita assolutamente normale.

Il primo motivo è Judy Dench. Il premio Oscar che abbiamo visto in tanti film interpretare il capo di 007, qui è un’anziana di 85 anni smascherata dopo aver fatto la spia per 35, una nonnina appassionata di rose, pittura e politica, che ha tradito la patria, non per soldi, ma perché pensava fosse giusto farlo.

È una mattina di gennaio quando i servizi segreti la vengono a prelevare dalla sua casetta alla periferia di Londra per sottoporla a un martellante interrogatorio. Joan non è una professionista dei servizi segreti, ma una donna eccentrica, che si è trovata al posto giusto nel momento giusto e semplicemente compie un’impresa incredibile.

Riesce e mettere tutti nel sacco ben più a lungo delle Cinque spie di Cambridge (Philby, Burgess, Mclean, Blunt, Caincross) celebrate in innumerevoli libri e film. La vediamo anziana, con le forze che vengono meno, ma per nulla pentita di ciò che ha fatto, preoccupata soprattutto di non sconvolgere la vita al figlio, del tutto ignaro del segreto di mammà.

Joan affronta gli interrogatori e a ogni documento, foto e memorandum che le mostrano ricorda la sua vita da giovane (interpretata da Sophie Cookson): due storie intrecciate, il dramma di oggi e le avventure di ieri. A piccoli flash emergono l’ambiente universitario di Cambridge degli anni Trenta, l’amore per un comunista romantico e l’amicizia con Sonya, una spregiudicata giovane russa.

Finita l’università trova lavoro in un istituto dove si studia il ruolo dell’uranio nella bomba atomica. Un posto che offre incredibili opportunità a una ragazza sveglia con una preparazione scientifica: nessuno la nota, nessuno pensa che possa fare qualcosa di diverso da sorridere e battere a macchina.

Lei non si iscriverà alla cellula comunista di cui facevano parte Leo e l’amica Sonya, ma quando capisce che l’occidente non spartirà mai i suoi segreti con i sovietici decide di dare una mano all’altra parte. Per tutto il film tifiamo per quella vecchina che pare smarrita e nega i capi d’imputazione, fino a che si rende conto che tacere non è più possibile. E allora è pronta anche ad andare in carcere per quello che ha fatto, ma vuole prima spiegare perché tra i suoi valori e il suo paese lei ha scelto i primi.

Buona parte del film è centrata su quegli anni, sul clima che si respirava, sul perché tanti giovani brillanti abbiano compiuto una scelta ideale così rischiosa.

Il film è la trasposizione del libro di Jennie Rooney, La ragazza del Kgb, in Italia edito da Piemme, che a sua volta si ispira liberamente alla storia vera di Melita Norwood, che passò ai russi informazioni dal ‘38 fino al momento di andare in pensione, nel ’72.

Tra gli attori Stephen Campbell Moore (The Crown), nel ruolo del direttore di Joan e Tom Huges, che recita l’affascinante e tragico Leo. Tra i tanti film ispirati dal circolo delle spie di Cambridge ci voleva qualcuno che mettesse a fuoco il ruolo di Melita, la dilettante che per passione si è presa gioco di governi e servizi segreti, senza neanche nascondere come la pensava. A 87 quando la smascherarono, ancora diffondeva tra i vicini del quartiere le copie di Red Star, il giornale della sinistra radicale inglese, e al giornalista del Times che la intervistava disse candidamente: “Oh be’, pensavo di farla franca”.