Tutti i libri della corsa al Leone. La guida letteraria alla selezione ufficiale di Venezia 81
Annunciata la selezione ufficiale di Venezia 81, una biblioteca piena e varia, come piace a noi. Quattro gli italiani in concorso, più il mezzo Guadagnino, che in “Queer” adatta William Borroughs. Per il Leone pochi nomi di peso (ma ci sono “Joker”, Almodóvar e Larraín) e tante sorprese, più denso di star il fuori concorso: il Mussolini di Wright (da Scurati), l’adattamento di Cuarón, Vinterberg, Kitano e Bellocchio. Ma con loro tanto altro da leggere e vedere, per un’edizione che sembra promettere percorsi inattesi…
A poco più di un mese dall’inizio della 81ª Mostra del Cinema, quest’anno al via il 28 agosto, per il direttore Alberto Barbera è arrivato il momento di svelare la selezione ufficiale. Un parterre di film attesi e qualche sorpresa, in cui la letteratura, ancora una volta, si prende un grande spazio, soprattutto nel concorso.
Aveva stupito, lo scorso anno, la nutrita pattuglia italiana in gara per il Leone d’oro. Quest’anno si scende di un’unità, ma si rimane in presenza piuttosto corposa: cinque film, seppure sarebbe bene dire quattro e mezzo. Il più atteso e anticipato infatti, Queer di Luca Guadagnino, è stato sì girato completamente in Italia, ma cast e troupe sono interamente internazionali.
Non è una novità per Guadagnino, già Leone d’argento nel 2022 con Bones & All, per cui valeva uno schema simile, e certo non stupisce se si pensa che ha scelto di adattare un romanzo culto in terre anglofone, l’omonimo di William S. Borroughs, idolo della beat generation, in Italia edito da Adelphi. Queer porta in concorso anche il primo vero favorito per la Coppa Volpi, il suo protagonista Daniel Craig, ormai ex James Bond.
La schiera nazionale conta inoltre, è il caso di dire finalmente, due donne, in gara con due film molto diversi. Da un lato Giulia Louise Steigerwalt, già David di Donatello al miglior esordio nel 2023 per Settembre, pronta a sbarcare per la prima volta al Lido con Diva Futura, un ritratto del padre dell’hard italiano Riccardo Schicchi, interpretato da Pietro Castellitto. Il titolo era infatti il nome della sua agenzia casting e il film si appoggia a Non dite a mia madre che faccio la segretaria, memoriale proprio della segretaria dell’agenzia, Debora Attanasi (edito da Sperling & Kupfer).
Un tema molto lontano dalle alpi trentine in cui Maura Delpero, l’altra regista in concorso, ha ambientato il suo Vermiglio, storia di tre sorelle sul finire della seconda guerra mondiale. Anche per Delpero è la prima volta a Venezia e per il film, di cui è anche sceneggiatrice, si è affidata soprattuto alla popolazione locale del paesino di cui infatti il film porta il nome.
Il quadro italiano si completa con un habitué della Mostra, Gianni Amelio, che dopo Il signore delle formiche del 2022 torna a competere per il Leone (sarebbe il suo secondo) con Campo di battaglia. Il conflitto mondiale, in questo caso, è il primo, visto con gli occhi di un medico, Alessandro Borghi, alle prese anche con l’epidemia di spagnola. Ultimo ma non ultimo, Iddu, del duo Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, altro ritratto, stavolta del boss Matteo Messina Denaro, interpretato da Elio Germano.
Al di là del campo nostrano, non mancano grandissimi nomi e film molto attesi, sebbene non quanto gli anni scorsi. Il primo non può che essere Pedro Almodóvar, di ritorno in concorso dopo Madri parallele, stavolta col suo primo film interamente girato in inglese, The Room Next Door. Altro colpo di livello ma anticipatissimo è il ritorno di Todd Philips con il seguito di Joker, Leone d’oro a sorpresa nel 2019, adattato dalla serie a fumetti dell’antagonista di Batman. Nel cast ovviamente ancora Joaquin Phoenix, premio Oscar per il primo film, e Lady Gaga, pronta a lanciare la sua candidatura per la statuetta di quest’anno.
Dalla Francia arrivano in competizione due film letterari, entrambi girati in coppia. Uno, Jouer avec le feu delle sorelle Delphine e Muriel Coulin, è adattato dal romanzo di Laurent Petitmangin (in Italia tradotto da Mondadori con il titolo Quello che serve di notte) ed è particolarmente d’attualità se si guarda al contesto francese, ma certo non solo a quello. Racconta infatti un padre di famiglia, Vincent Lindon, alle prese con la radicalizzazione d’estrema destra di suo figlio.
L’altro è invece più canonico, Les enfants après eux, dei fratelli Ludovic e Zoran Beukhema, adattamento del romanzo omonimo con cui Nicolas Mathieu ha vinto il Goncourt nel 2018 (nelle librerie italiane lo ha portato Marsilio-Feltrinelli con il titolo E i figli dopo di loro). Una storia d’adolescenza, con protagonisti tre amici nella torrida estate del 1992. Sono tre anche le protagoniste di Trois amies di Emmanuel Moret, che guarda caso è anche il terzo, e ultimo, dei francesi in corsa per il Leone d’oro.
Non manca la letteratura anche dal resto del mondo, anzi come detto è uno dei concorsi più letterari degli ultimi anni. La greca Athina Rachel Tsangari adatta Il raccolto (Guanda) di Jim Crace per il suo Harvest, riportando Caleb Landry Jones al Lido dopo DogMan dello scorso anno, per molti ingiustamente lasciato fuori dal palmarès. Ed è di ritorno anche il brasiliano Walter Salles, che in Ainda estou aqui adatta l’omonimo romanzo Marcelo Rubens Paiva (inedito da noi), in cui aveva raccontato la storia di suo padre, ucciso dalla dittatura militare brasiliana nel 1971.
Non è un adattamento Love, parte di un’ampia trilogia norvegese, ma il suo regista e sceneggiatore, Dag Johan Haugerud, è noto anche come scrittore e al Lido, dove sbarca in concorso per la prima volta, cercherà di replicare il successo del primo capitolo, Sex, presentato alla Berlinale. È invece tratto da un saggio, The Silent Brotherhood dei giornalisti Gary Gerhardt e Kevin Flynn, il lavoro dell’australiano Justin Kurzel, The Order, con Jude Law protagonista e ultimo degli adattamenti in concorso.
Tra i ritorni si conta quello di Pablo Larraín, chiaramente in corsa per il Leone e a sua volta di ritorno su un tema molto caro: i ritratti delle donne iconiche del Novecento. Dopo Diana in Spencer e Jackie Kennedy in Jackie, arriva ora Maria, storia di Maria Callas, interpretata da Angelia Jolie, anche lei in cerca di grandi premi per questa stagione. A giocarsi invece il titolo di outsider, magari in vista di una vittoria “alla Diwan“, è la giovanissima georgiana Dea Kulumbegashvili, di cui si dice un gran bene. Il suo April è la storia di un’ostetrica nella parte più rurale del paese, impegnata negli aborti clandestini.
I veri nomi di peso la Mostra ha scelto di giocarseli fuori concorso. Primo su tutti Claude Lelouch, in Finalement pronto a dare una sorta di saluto (ma speriamo di no) al suo pubblico. Al lato della competizione principale troviamo anche i Leoni d’oro Lav Diaz (con l’ennesimo film da minutaggio fluviale, Phantosmia) e Takeshi Kitano (che nel suo Broken Rage si limita invece a poco più di un’ora). Ma con loro anche Jon Watts e il suo Wolfs, ritorno della coppia Brad Pitt e George Clooney, Amos Gitai con il suo doc Why War, la serie del premio Oscar danese Thomas Vinterberg, intitolata Families Like Ours, e Se posso permettermi – Capitolo II di Marco Bellocchio, secondo cortometraggio dallo stesso titolo. Sempre fuori Il tempo che ci vuole, film autobiografico di Francesca Comencini sul rapporto con suo padre.
Non solo, passeranno dal Lido anche due serie letterarie attesissime. Ci sarà M di Joe Wright, ispirata al bestseller omonimo di Antonio Scurati, che gli valse il Premio Strega nel 2019 e la censura della Rai meloniana solo qualche mese fa. Girata interamente a Cinecittà, racconta l’ascesa del fascismo fino al delitto Matteotti, con Luca Marinelli nei panni di Mussolini. Ma ci sarà anche Alfonso Cuarón con la sua serie Disclaimer, tratta da La vita perfetta di Renée Knight (Piemme).
Per la sezione Orizzonti, la più aperta alle nuove scoperte, gli adattamenti sono due. In primis Familia di Francesco Costabile, che prende le mosse da Non sarà sempre così di Luigi Celeste. Accanto a lui lo spagnolo Marco di Jon Garaño e Aitor Arregi, storia di Enric Marco, già narrata magistralmente da Javier Cercas ne L’impostore (Guanda). Cercando tra i titoli di Orizzonti, ma Extra, spunta anche Vittoria di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, prodotto da Nanni Moretti, che se a Venezia da regista non torna più, forse lo farà in veste di produttore (la sua Sacher ha prodotto anche Quasi a casa di Carolina Pavone, selezionato alle Giornate degli Autori).
Letterarie saranno anche la proiezione speciale di Leopardi, fiction Rai diretta da Sergio Rubini sulla vita del poeta, e Master and Commander, film del 2003 tratto dai romanzi di Patrick O’Brian, omaggio a Peter Weir, premiato col Leone d’oro alla carriera. Romanzesco anche il film di chiusura, L’orto americano, in cui Pupi Avati mette un nuovo tassello alla lista di registi che autoadattano i sé stessi scrittori (il romanzo omonimo è pubblicato da Solferino).
Insomma, è uno scaffale pieno e pesante, quello di Venezia 81, ma a noi piace così. Anzi, speriamo quasi che possa diventare il primo di una lunga tradizione.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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