Tra Millepied e Polunin. Le stelle comete della danza che piacciono anche al cinema

In sala dal 12 al 14 febbraio (per I Wonder Stories) “Reset. Storia di una creazione” in cui Thierry Demaizière e Alban Teurlai seguono le fasi di allestimento della prima coreografia da direttore artistico dell’Opéra di Parigi di Benjamin Millepied. In uscita anche “Dancer” (per Wanted) di Steven Cantor dedicato a Sergei Polunin, una stella cometa di prima grandezza, a rischio caduta per i suoi alti e bassi, di talento esagerato…

Il cinema ha (ri)scoperto la danza: negli ultimi due anni si susseguono a rotta di collo biopic e documentari che raccontano vita, opere e miracoli dei divi di Tersicore. Dopo il recente film dedicato a Loie Fuller (Io danzerò), il ritratto di Roberto Bolle e il doc su Ohad Naharin (Mr. Gaga), si affacciano in sala contemporaneamente Dancer, sulla fulminante carriera di Sergei Polunin e Reset. Storia di una creazione che segue le fasi di allestimento della prima coreografia da direttore artistico dell’Opéra di Parigi di Benjamin Millepied.

Il primo, a firma di Steven Cantor, è un documentario febbricitante, magnetico e vertiginoso come il suo protagonista, l’ancor giovane ucraino (classe 1989) cresciuto e sbocciato al Royal Ballet. Primo ballerino a 22 anni, e successivamente entrato in un vortice di eccessi, voltafaccia (alla danza e alla carriera), Polunin è una stella cometa di prima grandezza, a rischio caduta per i suoi alti e bassi, di talento esagerato.

Dancer ne racconta ombre e luci in un ritratto palpitante, ricco – alla maniera di Mr. Gaga – di foto e filmati inediti di famiglia, testimonianze di amici e parenti, oltre, naturalmente, a frammenti da brivido delle sue esibizioni da palcoscenico. Da vedere, per fan e non (anche perché, data la sua natura umorale, non sappiamo quanto durerà ancora la sua attività di danzatore).

Diversamente concepito è invece Reset di Thierry Demaizière e Alban Teurlai, che danno per scontata la vita e la carriera di Benjamin Millepied, concentrandosi sulla creazione di Clear, Loud, Bright, Forward, concepito per un gruppo scelto di danzatori dell’Opèra di Parigi e con il quale il neodirettore aprì la sua stagione di danza.

La cinepresa segue Millepied mentre immagina, concepisce e crea la sua coreografia ascoltando la musica di Nico Muhly. Rincorso dalla sua assistente, tallonato dal sovrintendente Lissner e dalle tante traversie sindacali, finanziarie e burocratiche che ben conoscono i direttori artistici di tutti i teatri del mondo.

In controluce, le scelte di Millepied, che dovrebbero esaltare il suo profilo di innovatore: il tentativo di smantellare il rigido apparato piramidale del corpo di ballo, privilegiando gli interpreti con anima piuttosto che quelli con le stellette. L’attenzione per le loro necessità fisiche, dal pavimento adatto al fisioterapeuta e per quelle di un’apertura al contemporaneo, focalizzata da quei trentatré minuti di Clear, Loud, Bright, Forward per sedici giovani talenti, diretti da un trascinante direttore d’orchestra quasi ragazzino (Maxime Pascal), un musicista entusiasta (Nico Muhly), la stilista immaginifica Iris van Herpen (coinvolta recentemente anche da Sasha Waltz per la sua Kreatur) e l’avveniristico disegno luci degli Uva (il collettivo inglese formato da Matthew Clark, Chris Bird e Ash Nehru).

Le fasi dell’allestimento, scandito giorno dopo giorno, dovrebbero rendere per riflesso la portata del cambiamento che Millepied mette in moto all’Opèra con un balletto minimalista ma pieno di energia frizzante. Il problema è che senza cenni approfonditi del prima (i 20 anni di direzione di Brigitte Lefèvre) e il successivo insediamento di Aurèlie Dupond, poi – una sorta di ritorno alle origini dopo le polemiche che hanno costellato la breve direzione di Millepied tra il 2014 e il 2016 -, i non addetti ai lavori possono perdersi tra un passo e una piroetta.

Reset diventa una bolla spazio-temporale, storia di una creazione contemporanea non così dissimile da tante altre, dove poco si sa anche del suo autore (la carriera luminosa da principal del New York City Ballet, per dire, o il suo lavoro di coreografo per numerose compagnie oltre alla sua, il LA Dance Project).

I registi evitano persino di nominare Natalie Portman, sua moglie, conosciuta sul set del Cigno nero e questo è apprezzabile in un film che celebra la danza e la fragile, ardita bellezza dei suoi interpreti. Pensare che si possa capire tutto di Millepied da una coreografia, invece, è meno comprensibile. Mica è Forsythe.