Pasolini, un film di “pancia” contro la menzogna

In sala dal 24 marzo, “La macchinazione” di David Grieco sul caso Pasolini. Un appassionato ritratto d’epoca per raccontare tutte le verità mai dette sull’omicidio del grande intellettuale e sui misteri degli anni Settanta…

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Stavolta il libro viene dopo, anche se è uscito prima del film (leggi qui la recensione di Stefano Bocconetti). Non fosse altro perché il film (La macchinazione, in sala dal 24 marzo per Microcinema) David Grieco ce l’aveva dentro da anni.

O meglio da quel 2 novembre 1975 quando è stato tra i primi ad accorrere al’Idroscalo di Ostia, dove il corpo di Pier Paolo Pasolini giaceva massacrato a terra. E non solo perché da giovane inviato di punta de l’Unità (è stato per anni alle pagine culturali, facendo tra l’altro “dialogare” Pasolini col Pci) doveva fare il “pezzo”. Ma perché David era legato a Pasolini da una profonda amicizia, anzi un vero e proprio legame di famiglia maturato negli anni a casa Grieco, dove il papà Bruno, a sua volta figlio di Ruggero tra i fondatori del Pci, era giornalista (per anni direttore della Tass in Italia, l’agenzia di stampa russa), uomo di cinema e teatro e la sua compagna, Lorenza Mazzetti, regista, scrittrice, fondatrice del Free cinema inglese.

È stata proprio lei a presentare il poeta corsaro a David ragazzino, così che a 16 anni appena, si è ritrovato sul set di Teorema come attore, per poi passare come suo aiuto regista, l’anno sucessivo e stringere amicizia col resto della “famiglia”: Ninetto Davoli, Sergio e Franco Citti.

La lunga premessa, insomma, per dire che La macchinazione di David Grieco, non poteva essere che un “film di pancia”, come dice lui stesso. Di pancia e di cuore aggiungiamo noi. Nato per volontà di denuncia contro la più grande “menzogna che sia mai stata inventata dal’inizio della strategia della tensione ad oggi”, le cui tante sentenze giudiziare susseguitesi fin qui non hanno mai chiarito.

Denuncia e passione civile, dunque, come tanto cinema dei Settanta a cui il film guarda esplicitamente anche nell’estetica.  “Non un film figo”, dice il regista di Evilenko, ma un film che più di ogni altra cosa punta dritto alla tesi, attraverso una sceneggiatura serrata (scritta insieme a Guido Bulla, scomparso recentemente) che in 115 minuti tenta di sfatare definitivamente la bugia del delitto legato al “torbido” mondo omosessuale, per allargare lo sguardo alle complesse tensioni politico-sociali dei Settanta, in cui la morte di Pasolini è iscritta.

Un puzzle complesso, in cui si intrecciano la neonata P2, l’eversione di destra che si salda alla criminalità capitolina della Banda della Magliana, le stragi di stato, i servizi deviati, il consumismo che si appresta a diventare pensiero unico, “una dittatura – parole di Pasolini – anche peggiore del fascismo”.

In questo clima incontriamo il Pasolini di David Grieco, col volto da “sosia” di Massimo Ranieri. È l’estate del ’75 e sono i suoi ultimi mesi di vita. Da poco ha iniziato la relazione con Pino Pelosi (l’esordiente Alessandro Sardelli) giovane borgataro romano legato alla criminalità in ascesa. Il poeta corsaro è impegnato al montaggio di Salò o le 120 giornate di Sodoma, il suo ultimo film, il più “scandaloso” e definitivo della sua poetica incentrata sulla violenza del potere che, proprio gli amici di Pelosi, trafugheranno per chiedere un esorbitante riscatto. O almeno così sembra.

Contemporaneamente lo scrittore è anche alle prese con la stesura di Petrolio, romanzo incompiuto e pubblicato postumo nel ’92 (Einaudi), atto di accusa frontale contro la politica corrotta (siamo sotto il “regno” Dc) e i sui rapporti con la finanza, sullo sfondo della crisi petrolifera mondiale, in cui centrale è la figura di Eugenio Cefis, il potente presidente dell’Eni, subentrato a Mattei (morto in un misterioso incidente aereo) e grande manovratore della P2. Un materiale incandescente, dunque, che Pasolini usa come un’arma, rafforzando sempre di più la sua immagine di intellettuale “scomodo”, anzi “pericoloso”.

L’epilogo, infatti, sarà come è noto in quella notte tra il primo e il 2 novrembre 1975 a cui David Grieco ci accompagna mettendo in chiaro la sua tesi: Pino Pelosi è stato semplicemente un’esca e a sua volta il capro espiatorio dell’intera macchinazione. All’idroscalo di Ostia, ci mostra il film, Pasolini sarà vittima di un vero e proprio agguato, a cui prenderanno parte in molti e di cui la “colpa”, come in copione di un film, sarà scaricata unicamente su Pelosi, “cancellando” per sempre la verità sugli esecutori e i mandanti dell’omicidio.

Tra i tanti film sul caso Pasolini, dunque  – ultimo quello di Abel Ferrara, semplicemente ridicolo – , La macchinazione è certamente quello che più si avvicina alla realtà di quegli anni, il che fa perdonare anche i suoi eccessi di ingenuità nello stile e nel linguaggio. Rivelandosi per quello che è: un film di pancia e di cuore.


Gabriella Gallozzi

Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.


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