Pasolini, quel libro pieno di verità sulla sua morte

È “La Macchinazione” di David Grieco giornalista de l’Unità e amico del poeta corsaro. Una ricostruzione dettagliata del Grande Complotto fascista-mafioso che c’è dietro il delitto, ma anche la storia della loro amicizia. In attesa del film che uscirà nei prossimi mesi e che ha ispirato il libro…

M24_image.gifL’unica cosa certa è che lo volevano morto. In tanti e per diversi motivi. E addirittura, quarant’anni dopo, si ha la sensazione che quei tanti siano stati “troppi”, quei motivi diversi siano stati talmente vasti da rendere impossibile sciogliere la matassa. Sciogliere il mistero. Quello che ancora circonda la morte di Piero Paolo Pasolini, il più grande intellettuale italiano del ‘900.
Una morte che le tante sentenze giudiziarie che si sono seguite e inseguite per decenni non hanno neanche provato a spiegare. Ma questo lo sanno tutti. Quello che invece i più non sanno – a cominciare dalle grottesche lacune nelle indagini e non solo quelle iniziali ma anche quelle che hanno accompagnato tutti i tentativi di riapertura del caso – lo racconta David Grieco, nel suo libro La Macchinazione, Pasolini la verità sulla morte.

41uMv+eONbL._SX308_BO1,204,203,200_Certo, questo edito da Rizzoli non è l’unico lavoro di controstoria su ciò che è avvenuto e ha preceduto quella notte all’Idroscalo di Ostia. Si potrebbe dire che è sicuramente il più completo, il più dettagliato, il più preciso.

E addirittura – anche se non piacerà all’autore – il più problematico; tranne forse nella postfazione di Stefano Maccioni, l’avvocato penalista, che da anni si batte per l’apertura di un’inchiesta parlamentare sul caso. E che sembra aver chiaro, o abbastanza chiaro, il Grande Complotto fascista-mafioso che c’è dietro il delitto.
Un libro esaustivo, insomma, si direbbe. Ma sarebbe riduttivo. Perché il volume è anche la storia del rapporto fra Grieco e Pasolini. Amico di famiglia e poi amico personale, in qualche modo confidente dell’intellettuale. Col quale – un po’ per caso e un po’ per scelta – si è trovato a condividere alcuni momenti chiave della storia di questo paese.
Ed è per questo intreccio fra accuratezza dei dettagli, racconti personali, particolari inediti, impressioni, aneddoti, testimonianze, vicende politiche e professionali che queste 250 pagine scorrono pesanti e veloci allo stesso tempo.
Ne La macchinazione c’è tutto, si diceva.

C’è il racconto motivato dei tanti – e tutti molto potenti – che volevano la sua morte. O che almeno avrebbero tratto beneficio dalla sua morte. Certo c’è Pasolini ucciso da Pelosi, ovviamente non da solo. Ipotesi a cui hanno creduto solo i giudici e solo loro. Pelosi che avrebbe fatto da informatore nello strano furto delle bobine di Salò (che il poeta e regista voleva recuperare a tutti i costi, nonostante quel che si è sempre scritto e creduto) e poi da esca per l’agguato mortale.

C’è il Pasolini assassinato perché così voleva Eugenio Cefis, il potente presidente dell’Eni (tutto dentro la P2) e che Pasolini aveva intuito essere l’artefice della scomparsa di Mattei. E c’è il Pasolini in qualche modo fatto fuori dalla destra eversiva siciliana, magari attraverso la manovalanza della Banda della Magliana. E c’è il Pasolini assassinato dalla mafia, come conseguenza del suo interesse per il mai risolto caso-Di Mauro. Fino all’ipotesi del pittore (amico personale di Pier Paolo) Giuseppe Zigaina secondo il quale Pasolini avrebbe pianificato, fin nei dettagli, la sua morte. Ripercorrendo pedissequamente il martirio di Cristo.
Tutto dettagliato, tutto raccontato in modo molto approfondito. Con una intuizione, però, sopra le altre: Pasolini – scrive Grieco – aveva messo nel conto, da tempo, “la possibilità di trovare la morte”. Come estremo atto di denuncia di un mondo, di un paese che vedeva avvitarsi in una spirale orribile. O forse per ripercorrere lo stesso calvario del fratello. O forse per tutte e due le cose insieme.
Questa – anche qui l’autore non se ne voglia – è la parte più suggestiva del libro. Più dell’enorme lavoro per mettere insieme i pezzi del puzzle che compongono la Macchinazione. È la parte in cui David Grieco racconta, testimonia, analizza senza mai limitarsi però al semplice osservare. Mai semplice cronista, insomma.
Con alti e bassi, ovviamente. Perché l’autore fra le tante cose (per dirne una, è stato anche attore, proprio diretto da Pasolini, a 16 anni e questo non lo sapeva nessuno); fra le tante cose, si diceva, è stato anche giornalista de l’Unità. Anzi, la giovane firma più autorevole delle pagine di “cultura e spettacoli”, come si chiamava all’epoca il suo servizio, sul finire di quegli anni ’70. E a quella cultura, al clima culturale imperante in quegli anni a l’Unità – che anche chi scrive conosce bene – Grieco sembra ancora un po’ legato.

Come quando, in una digressione, riesce a scrivere di “queste equivoche Brigate Rosse, che stanno formando un piccolo esercito eversivo…”. Frase che suona molto pecchioliana – per chi sa di cosa si parla -, che suona forse addirittura naif quarant’anni dopo. Anni spesi a riflettere e a cercare di capire le ragioni che portarono un pezzo rilevantissimo della sinistra sociale a scegliere la via suicida della lotta armata. Scelta fatta in completa autonomia, senza le ingerenze dei servizi segreti, come raccontavano le facili analisi che apparivano su l’Unità. Scelta compiuta anche in risposta alla regressione politica e strategica del Pci fine anni ‘70.
Ma sono dettagli. Sfumature. Che si perdono davanti al vero obbiettivo del suo lavoro: la voglia, il bisogno di sapere la verità sulla morte di Pasolini. Un intellettuale talmente scomodo da non aver diritto neanche a un po’ di giustizia, quarant’anni dopo.