David Grieco nell’Italia orfana della sua Storia: “La verità su Pasolini la dobbiamo alle nuove generazioni”
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Intervista a David Grieco, regista e autore de La macchinazione, impegnato in prima persona perché si faccia luce sull’assassinio di Pier Paolo Pasolini, anche attraverso la nuova istanza per la riapertura delle indagini, notizia che ha fatto il giro del mondo. L’amico e collaboratore del poeta corsaro ci racconta l’importanza di sottrarre la memoria dell’intellettuale (e della stagione di stragi e manovre del Potere in cui s’inserisce il suo omicidio) a una narrazione falsata mirante a «sporcarlo». E di come le nuove generazioni siano ispirate dall’esperienza e dall’opera dello scrittore-cineasta. Che, per il suo ultimo progetto cineletterario, avrebbe voluto adattare Todo Modo…
Non è passato invano, il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini nel 2022. Anzi, per David Grieco, regista e scrittore, ex giornalista de l’Unità, amico e collaboratore del poeta-cineasta assassinato il 2 novembre 1975, è stato «come se fosse saltato il tappo di una bottiglia».
Il riferimento è alla lunga e travagliata ricerca della verità sulla morte del grande intellettuale, che proprio Greco ha raccontato nel film La macchinazione (2016) e nel libro omonimo. Offrendone una versione assai più credibile di quella sancita dalla sentenza d’appello del 1977. Oggi, la nuova istanza depositata dall’avvocato Stefano Maccioni chiede di riaprire le indagini, anche alla luce delle tracce di DNA rinvenute sul luogo dell’omicidio. «Che non ci sono da ieri», precisa Grieco, «ma già da quando, purtroppo, vennero inopinatamente chiuse le indagini. Però ci sono anche tanti elementi nuovi, e io credo che la procura, quando si troverà in mano il fascicolo che gli abbiamo consegnato, farà un saltino sulla sedia. C’è roba che grida vendetta, ma proprio tanta».
David che valore ha, oggi, proseguire la ricerca della verità sul delitto Pasolini?
L’obiettivo primario, per me, è smentire la storiella secondo cui Pasolini il giorno della morte avrebbe incontrato per caso Pino Pelosi, l’avrebbe portato all’Idroscalo di Ostia per avere un rapporto sessuale, poi il ragazzo si sarebbe ribellato e, gracile com’era, lo avrebbe, letteralmente, maciullato. L’obiettivo dei suoi assassini era far passare questa storia qui. Volevano sporcarlo. Avrebbero potuto anche lasciarlo lì sanguinante, l’importante era che si potesse dire: “Guardate che schifo di uomo è”. E ci sono riusciti, perché nella seconda metà degli anni ’70 e negli ’80 non si poteva quasi nominare Pasolini, a sinistra come a destra.
Contribuendo, tra l’altro, a ridurre nell’immaginario l’esperienza pasoliniana al solo dato della sua omosessualità. Pensa che questa narrazione faccia ancora presa in una parte di Paese?
Non solo in una parte del Paese, ma anche in una parte dei giornalisti. Considera che la nostra iniziativa ha avuto un’eco inaspettata: siamo usciti sul New York Times, sull’Indian Times, in tutto il mondo. E invece su un giornale come La Repubblica ci è stato detto per l’ennesima volta di smetterla di andare a cercare chissà che.
Invece le ipotesi su un mandante politico dell’assassinio chiamano in causa altre vicende tuttora irrisolte del Novecento italiano, in particolare la morte di Enrico Mattei e l’omicidio del cronista Mauro De Mauro…
Sì, non a caso Pasolini indagava su queste e su altre cose: in Petrolio stava scarnificando tutta la cosiddetta strategia della tensione. E la gente lo sapeva, era noto che stava scrivendo un libro su Mattei e che al centro c’era Eugenio Cefis. Pasolini ha capito, sette anni prima che lo sapessimo noi, la nascita della P2. Disegnando trame in cui erano coinvolte anche persone insospettabili. Poi una notte, nel 1981, mentre facevo il turno di notte a l’Unità, ci arrivò l’elenco degli iscritti alla loggia. Il primo elenco, che poi è rimasto purtroppo l’unico.
Crede che stabilire chi e come ha davvero ucciso Pasolini contribuirà a fare luce anche su questi altri casi?
Magari. Siamo orfani della nostra Storia come nessun altro popolo in Europa. Un altro scandalo che ci portiamo dietro. Non sappiamo cosa raccontare ai nostri figli, agli studenti, e sono passati cinquant’anni! Sarebbe ora di mettere un po’ a posto le cose, anche perché siamo gli unici a non farlo: gli spagnoli hanno cercato il corpo di Federico Garçia Lorca per sessant’anni, i franchisti lo buttarono in una fossa comune. Ed è niente, rispetto a quello che dobbiamo tirare fuori noi.
In Italia la destra oggi al governo tenta invece di far passare una narrazione “pacificata” delle violenze negli anni ’70, dove neofascisti e comunisti appaiono sullo stesso piano. In questo contesto la verità sul caso Pasolini risulterebbe tanto più “scomoda”?
Vediamo come si comporterà il governo Meloni, a seconda dei risultati che emergeranno dalla riapertura delle indagini su Pasolini. All’Idroscalo quella notte c’erano dei picchiatori fascisti, uno è ancora vivo. Si tratta semplicemente di incrociare il suo DNA con quelli trovati sul luogo del delitto.
Aveva già raccontato la sua versione dei fatti nel film La macchinazione, uscito nel 2016. Oggi cambierebbe qualcosa di quel racconto?
Lo farei più o meno nello stesso modo. All’epoca scelsi, con Guido Bulla che l’ha scritto con me e che purtroppo non c’è più, di togliere dalla scena del delitto qualcuno che c’era sicuramente, e cioè Johnny lo Zingaro. Lui forse oggi lo metterei nel film. Comunque era un ladruncolo di quindici anni, piuttosto fuori dalla macchinazione politica, per questo non lo inserimmo. Poi da allora sono emerse tante nuove conferme, soprattutto del fatto che Pasolini andò all’Idroscalo a prendersi i negativi rubati di Salò. Di questo nel dossier abbiamo presentato prove inoppugnabili, al di là della deposizione di Maurizio Abbatino alla Commissione antimafia. Cosa che già cambia la narrazione del “frocio che raccatta il marchettaro”.
Forse, malgrado tutto, la verità sta emergendo perché c’erano tante persone toccate direttamente e indirettamente dalla vita e dall’opera di Pasolini, come dimostrava già la folla presente al funerale.
Sì, negli anni ne ho incontrate tante, di queste persone. Che per un po’, dopo l’omicidio, hanno conservato il silenzio, essendo rimaste sgomente. Ma che poi pian piano sono uscite fuori, sono venute agli incontri, alle proiezioni organizzate per parlare di Pasolini. Poi l’anno scorso si è parlato solo di lui, persino troppo. Non c’è comune in Italia che non abbia organizzato un’iniziativa. Lì si è capito che c’era tutto questo amore sommerso. È stato bellissimo vedere una quantità impressionante di scolaresche, di ragazzi che finalmente cominciano a studiare Pasolini nelle loro classi. E quello che è successo ha dato a molti il coraggio di uscire allo scoperto.
Sperava che “uscisse allo scoperto” anche Ninetto Davoli, a cui lei ha scritto una lettera pubblica alcuni mesi fa?
In realtà non ci speravo. Ma l’ho voluto fare, anche perché Ninetto l’aveva incontrato, Pelosi. Mi ha risposto indirettamente con l’intervista a Rolling Stone. In maniera scomposta, affermando che il film La macchinazione non portava nulla di nuovo. Ma se dice una cosa del genere, significa che non l’ha visto.
Una cosa mi colpisce: tra i tanti punti in comune fra gli Scritti corsari e Petrolio c’è l’idea (evidente nel secondo, ed esplicitata nella Nota introduttiva del primo) di affidare ai lettori un testo di “frammenti” che saranno loro a dover comporre in un unico quadro dotato di senso. È qualcosa di simile a ciò che deve fare oggi chi s’interroga sulla morte di Pasolini?
Sì, ed è esattamente quello che stanno facendo molti studenti, alle prese con un pezzo di Storia ormai lontano da loro. Anche perché gli articoli di Pasolini, man mano che uscivano all’epoca, facevano tremare tutto ogni volta, sono stati forse i pezzi più letti e più coraggiosi della stampa italiana di quegli anni. Ma ora, visti nel complesso, hanno proprio il valore di frammenti da mettere insieme. Dando una certa responsabilità al popolo italiano. E rispecchiando anche il rapporto di Pasolini con gli studenti, se pensi al famoso intervento Il PCI ai giovani!! in cui li bistratta “prendendo le parti” della polizia. Ma di quella lettera si cita sempre l’inizio, non la fine, dove esorta proprio i giovani ad essere davvero rivoluzionari.
L’argomento chiave del Pasolini letterario e cinematografico, negli ultimi anni, era il Potere. Quello politico, ma anche quello, più subdolo e pervasivo, della società dei consumi che modificava le coscienze. Oggi com’è cambiato questo Potere?
La società dei consumi ha fondamentalmente fallito. I consumatori ci sono ancora, ma sono fortemente provati, e per lo più anziani. Sono loro quelli più sensibili alla pubblicità, anche se oggi spesso non hanno nemmeno i soldi per comprare le cose reclamizzate. Mentre i giovani, molti di loro almeno, non sono più nemmeno “consumisti”. Lo vedo dai miei sei figli, che non seguono assolutamente le mode, e non per una particolare educazione ricevuta. Quella “società dei consumi” è morta, ci si basa non sugli oggetti di consumo ma sulla finanza. È lo spostamento dei soldi che rende le diseguaglianze sociali così spaventose.
Anche questo anticipato da Pasolini, se pensiamo al labirinto di società in cui, nelle pagine di Petrolio, si scomponeva l’impero economico di Aldo Troya alias Eugenio Cefis…
Già. Berlusconi è stato maestro, in questo. Un maestro delle scatole cinesi. Le società dei grandi imprenditori, valle a trovare, ormai! Ed è solo uno dei fenomeni mondiali che Pasolini aveva anticipato in modo straordinario, come le migrazioni in Alì dagli occhi azzurri, che è una poesia del 1963.
Un’attualità che permette all’opera pasoliniana di parlare ancora a tanti giovani, come diceva.
Pensiamo solo al suo cinema: una professoressa qualche settimana fa ha raccontato che, se fa vedere ai suoi studenti un film in bianco e nero, quelli sbuffano o si alzano e se ne vanno. Facendo vedere Accattone invece c’è un interesse febbrile dall’inizio alla fine. Pasolini ha reinventato il cinema, come Godard, e quel cinema è vivo come non mai. Cosa non scontata. Per esempio, Bernardo Bertolucci diceva che Ultimo tango a Parigi, rivisto oggi, è un film datato, ha un approccio verso il sesso che oggi è totalmente superato.
Pasolini non lo amò, infatti.
L’ha odiato, hanno rotto i rapporti per questo, non si sono praticamente più parlati a parte il noto episodio della partita di calcio. Una vicenda molto dolorosa. Bernardo volle vedere La macchinazione più volte, perché, diceva, era rimasto totalmente fuori dagli ultimi anni della vita di Pier Paolo. Che, prima di morire, lo chiamò per chiedergli a bruciapelo se aveva il numero di Marlon Brando, probabilmente voleva fargli interpretare il San Paolo. Disse a Bernardo: «Comunque siamo d’accordo che è un grande attore».
San Paolo. Uno dei progetti incompiuti di Pasolini, troncati per sempre dal suo assassinio…
Un altro, che nessuno sospetta anche se andrebbe sospettato, era Todo Modo, l’adattamento del romanzo di Leonardo Sciascia. Aveva un fascicolo aperto alla P.E.A., stava già lavorando su scene e costumi. Pasolini recensì il libro per la sua rubrica su Tempo, e disse che rappresentava perfettamente il suo pensiero. Se ne comincia ad occupare nella primavera del 1975, appena finito di girare Salò. Il film poi, com’è noto, fu realizzato da Elio Petri: dopo la morte di Pasolini venne a trovarmi alla redazione de l’Unità, come faceva spesso, e mi disse: «L’amico tuo c’aveva ragione». Si riferiva al “processo alla DC” che Pasolini invocava nei suoi articoli, e che secondo lo stesso Sciascia prenderà forma proprio in Todo Modo. Non a caso in quel film, che anticipa il delitto Moro, Petri mette nei panni dell’assassino Franco Citti.
Emanuele Bucci
Libero scrittore, autore del romanzo "I Peccatori" (2015), divulgatore di cinema, letteratura e altra creatività.
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