Se Frankenstein è nato da una tempesta ormonale. Delusione Mary Shelley
In sala dal 29 agosto (per Notorious Pictures), “Mary Shelley – Un amore immortale”, il film di Haifaa Al Mansour dedicato alla creatrice di Frankenstein. Che il libro della Shelley sia un’espressione piena e complessa del movimento letterario e culturale del romanticismo non ci sono dubbi. Ma qui la «tempesta» dei sentimenti che agita la giovane scrittrice (interpretata da Elle Fanning) sembra limitarsi alla tempesta ormonale di un’adolescente …
Se volete capire come è nato Frankenstein – il romanzo – il film Mary Shelley – Un amore immortale, diretto da Haifaa Al Mansour (distribuito dal 29 agosto da Notorious Pictures) ve ne dà un’idea.
Purtroppo, se non proprio sbagliata, molto parziale e parecchio romanzata. Del resto il sottotitolo «un amore immortale» (ma solo nell’edizione italiana) la butta da subito sul romantico.
Che il libro della Shelley sia un’espressione piena e complessa del movimento letterario e culturale del romanticismo non ci sono dubbi. Ma la «tempesta» dei sentimenti che agita la giovane scrittrice (interpretata da Elle Fanning) sembra limitarsi alla tempesta ormonale di un’adolescente (all’inizio della vicenda ha poco più di sedici anni) sia pure alimentata da rivendicazioni protofemministe.
Del resto Mary, nella realtà storica, era figlia di Mary Wollstonecraft, autrice di A Vindication of the Rights of Woman (1792) e di William Godwin, fine filosofo e politico britannico che oggi definiremmo libertario. Dunque, buon sangue non mente, così come l’ambiente nel quale in parte crebbe la futura scrittrice: ovvero uno dei salotti inglesi più interessanti e ambiti dell’epoca nel quale era già entrato, ventenne, il poeta Percy Bysshe Shelley (interpretato da Douglas Booth). Pensieri radicali (una ferrata critica teorica delle strutture sociali, poltiche e religiose) e sentimenti impetuosi (un’abbondante pratica di amori liberi e legami plurimi) faranno scoccare il colpo di fulmine tra Mary e Percy.
Prima di arrivare al film, però, è utile una messa a punto sulla reale natura e intensità della «tempesta» che muove Mary Shelley e le ispirerà il suo Frankenstein o il Moderno Prometeo che arriverà alle stampe la prima volta nel 1818. Una tempesta in stile «Sturm und Drang» (tempesta e impeto) dal nome del movimento culturale tedesco che, nella seconda metà del Settecento, fece da ponte tra l’illuminismo e il romanticismo.
Metaforizzando, anche il mito di Frankenstein è un po’ figlio di quella «tempesta», visto che la creatura prende vita durante un temporale di tuoni e fulmini, ingabbiando l’elettricità e scaricandola sul corpaccione mostruoso cucito con pezzi di cadaveri dal Dottor Victor Frankenstein.
Fuor di metafora, anche la vera genesi del romanzo – che compie quest’anno giusto duecento anni – sta sotto il segno della tempesta. La creatura letteraria, infatti, fu concepita durante una notte buia e tempestosa (ma lo Snoopy dei Peanuts non c’entra!) del giugno 1816, presso una villa sulle rive del lago di Ginevra dove si erano dati convegno alcuni nomi celebri del romanticismo: Lord Byron, Percy Bysshe Shelley, Mary Shelley, John Polidori e altri. Passò alla storia come la «notte di Villa Diodati», durante la quale Byron, i Shelley e Polidori si sfidarono a scrivere un racconto ispirato alle storie di fantasmi, di incubi e di orrori. E fu Mary Shelley, amante di Percy (si sposeranno qualche mese dopo) ad avere, quella notte, l’incubo che le dettò Frankenstein.
Ma la creatura generata dalla giovane Mary non fu solo il risultato di un divertente gioco letterario di società – che tra l’altro produsse anche il primo Vampiro, quello immaginato e scritto da John Polidori in quell’occasione – ma concentrò in sè una summa di suggestioni culturali, etiche e filosofiche che furono al centro dei discorsi di quel «convegno»: dai conflitti tra ragione e sentimento, tra rispetto delle regole, della tradizione e diritto alle trasgressioni al dibattito scientifico sulla natura, sull’elettricità e sul suo controllo, sulla possibilità di usarla per «rianimare» i corpi come aveva dimostrato Galvani non molti anni prima facendo sobbalzare le rane con una scossa elettrica.
Come accennato il film punta tutto sul «privato» che pure influenzò molto personaggi e aspetti particolari del romanzo (i rapporti relazionali e familiari, i sensi di colpa, le gravidanze, gli aborti, le morti di neonati e giovani figli dei protagonisti: da Mary alla sorellastra Claire, poi amante – una delle tante – di Lord Byron, altra figura cardine delle storie private e pubbliche degli Shelley).
Però la regista saudita Haifaa Al Mansour (La biciletta verde) lo fa indugiando un po’ troppo sulla superficie di quell’«amore immortale» ben più complicato, profondo e pieno di contraddizioni: Mary stessa, pur difendendo con coerenza la propria libertà di amare, vacilla di fronte alla disinvoltura dei rapporti sentimental-sessuali praticati da quegli «sciupafemmine» (che non si fanno mancare neppure le pulsioni omosessuali) di Shelley, Byron e Polidori. Lo farà fino alla fine, anche contro i tentativi di Percy di piegarne la vena letteraria ai propri gusti, e contro gli editori che le pubblicheranno il romanzo in forma anonima, facendone firmare la prefazione al più spendibile nome di Percy Bysshe Shelley (dovrà aspettare la successiva edizione del 1831 per figurare completamente).
Girato molto in interni (pochi esterni, tra Irlanda e Lussemburgo, niente Svizzera, laghi o notti tempestose, tuoni e fulmini), il film assomiglia molto alle leccate produzioni televisive britanniche in stile Jane Austin, con buoni costumi e decorose scenografie. La deliziosa figura di Elle Fanning non basta a restituire la passione di Mary Shelley e sia Douglas Booth (Percy) sia Tom Sturridge (Lord Byron) risultano parecchio antipatici e ben lontani dall’evocare un certo «decadentismo» alla Mick Jagger e Pete Doherty di cui si fa cenno nelle note di produzione. Tutto sommato, il film di Ken Russell, Gothic (1986) risultava più in sintonia con l’allucinata notte di Villa Diodati e un po’ di «sturm und drang» lo faceva sentire e vedere.
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