Ventura, il “mister Wolf” del cinema pubblico…

In libreria “Dieci meno. Un’avventura cinematografica”, l’autobiografia del celebre dirigente del Mibact testimone di circa quarant’anni di commissioni per il finanziamento dei film. Aneddoti, incontri e storia italiana sul filo dell’ironia…

2pzk2spDal suo ufficio ci sono passati tutti. Marco Ferreri, Sergio Leone, Roberto Benigni, Nanni Moretti, Bernardo Bertolucci, Carmelo Bene, i Taviani… Ma anche tanti altri che non lo sono mai diventati dei Benigni, dei Bertolucci o dei Moretti. Eppure Francesco Ventura, col suo fiume di parole e i suoi consigli, è sempre stato lì per tutti. Diventando, per chi il mondo del cinema l’ha frequentato, una vera istituzione. Serissimo, integerrimo e professionale nell’applicazione delle leggi sul cinema da una parte, e amabile ed irresistibile maestro di cazzeggio (“nobile pratica di libera conversazione”) nei rapporti umani, dall’altra.

Da dietro la sua scrivania di dirigente della Direzione cinema del ministero dei Beni culturali, quella, per intenderci, da dove passano i finanziamenti pubblici ai film, il dottor Ventura – oggi in pensione – è stato per circa quarant’anni il “mister Wolf” del cinema pubblico. L’uomo che risolve i problemi. Legali s’intende. Come quella volta che salvò dalle strettoie burocratiche Io sono un autarchico,  l’esordio del giovanissimo Nanni Moretti, inventando la “denuncia postuma di lavorazione”, necessaria per certificare l’esistenza in vita del film, altrimenti impossibilitato a circolare.

41s-vda1iSL._SX333_BO1,204,203,200_Ebbene tutto questo adesso è un libro. Anzi la sua autobiografia, scritta a quattro mani con Luigi Sardiello: Dieci meno. Un’avventura cinematografica (Licosia edizioni, pag. 140, euro 13,00), presentata nei giorni scorsi a Roma e a Torino, accompagnata da un prezioso filmato d’epoca – anni Ottanta – in cui Francesco Ventura, camicia e pantaloni arrotolati discetta della settima arte sulla porta di casa di Alberto Grifi, il più illustre rappresentante del cinema underground  italiano, ripreso a torso nudo e braghette di tela. Come fosse una scena di Ecce Bombo...

E, infatti, è lo stesso clima ironico e scanzonato che ritroviamo in questo suo debutto nella prosa, dopo la raccolta di poesie, Meno male che la rivoluzione non c’è stata, pubblicata nel 2005 per Aliberti.

Pugliese napoletano, classe 1942, Francesco Ventura in queste pagine di ricordi, ci racconta il dietro le quinte di quarant’anni di cinema italiano, attraverso i suoi incontri con celebri registi, produttori, imbroglioni e outdider. Una carrellata di gag, aneddoti, cene, festival, tentativi di corruzione rinviati al mittente e gatte da pelare a partire da un escamotage narrativo degno di un grande regista: lui e il “complice” Luigi Sardiello che si ritrovano bloccati all’interno del ministero per un intero fine settimana a causa di un blackout. Cosa fare allora se non raccontare?

Ecco duque della sua amicizia con Marco Ferreri (“modi un po’ bruschi ma due occhi azzurri di straordinaria dolcezza”) e di quella cena da lui quando non sapendo del suo diabete gli portò in dono un bel vasetto di miele biologico. Di quella “leggina” salvifica che inventò per aggiustare il tiro del celebre articolo 28 che tanti autori fece esordire (nell’ultimo capitolo c’è l’intero elenco di quei film: 500!). Di quella volta che – era allo spettacolo dal vivo – un fantasista di arti varie, per ringraziarlo, gli sfece una performance in ufficio solo per lui. E ancora i giostrai rom alle prese coi permessi minesteriali, il produttore che minaccia il suicido, la stagione dei cineclub e quella delle cantine. Oltre al passaggio di attrici e belle donne (veneri toscane) sognate e “sfuggite”.

In filigrana, scorre poi la sua vita privata. Tanto ci dice di suo padre, impiegato pubblico anche lui che gli impone  gli studi di giurispudenza contro la sua propensione per Lettere (“Divieto doloroso ma utile, bisogna dargliene atto”). Di sua moglie Gabriella morta prematuramente, dei due figli per cui, rimasto solo, ha cucinato ogni giorno pranzi e cene.

Pagine cariche di vita e dirompente umanità, insomma, che si leggono tutte d’un fiato. E che terminano con un ironico happy end. Arrivati al lunedì,  torna l’elettricità e il ministero prende vita. I nostri – Francesco e Luigi – possono finalmente uscire. “C’è il sole – scrive Ventura -. La giornata rinasce, la vita prosegue. Il cinema italiano chissà”…

P.S. tutta la factory Bookciak è nata anche grazie ai preziosi consigli di Francesco Ventura!