Addio Beppe Ferrara, ci hai insegnato il coraggio non solo al cinema

È morto a 84 anni, nel tardo pomeriggio del 25 giugno al Policlinico Umberto I di Roma, uno degli ultimi padri del cinema d’impegno civile. Ha raccontato i lati oscuri dell’Italia, le collusioni tra mafia e politica, i poteri forti e il terrorismo. Combattendo una vita intera contro la censura…

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Se n’è andato sereno, nonostante la lunga malattia, circondato dagli affetti più cari, i figli Leidys, Carlos, Gaetano e la moglie Candi che non l’ha lasciato solo un solo istante in questi ultimi anni di difficoltà. Se n’è andato ad un soffio dal suo compleanno: il 15 luglio Giuseppe Ferrara, per tutti gli amici Beppe, avrebbe compiuto 84 anni.
Quando un grande regista come lo è stato lui se ne va è il momento delle frasi di circostanza, delle commemorazioni, delle foto postate su Facebook per mostrare al mondo intero “l’amicizia” col celebre scomparso.

A noi, invece, piace ricordarlo con le sue parole. Quando nel maggio del 2002 commentava l’esito positivo di una delle sue tante battaglie dalla parte della verità: la «liberazione» del suo I banchieri di Dio, il film che dedicò al caso Calvi e che finì sotto sequestro in seguito alla denuncia di Flavio Carboni, faccendiere indagato per l’omicidio dell’ex presidente del Banco Ambrosiano.

«Questo è il segno che non ci sono soltanto registi coraggiosi, ma anche magistrati coraggiosi – disse allora Beppe -. Vuoi vedere che l’Italia può a volte avvicinarsi al mondo di Miracolo a Milano dove buon giorno vuol dire veramente buon giorno? Dove chi tenta di indagare con anni d’indagini rigorose i misteri sui grandi delitti non viene punito e represso? È una delle rare occasioni in cui mi sento orgoglioso di essere italiano».

Di «grane» di questo tipo Ferrara ne ha avute tante nel corso della sua lunghissima carriera di regista, critico cinematografico e docente.

Una vita intera dedicata al cinema militante, come si diceva una volta, che ha sempre inteso come «missione», denunciando le collusioni tra stato e mafia (Il sasso in bocca, il suo esordio nel ’70, poi Giovanni Falcone), servizi deviati (Segreto di Stato), poteri forti (I banchieri di Dio), terrorismo (dal Caso Moro a Guido che sfidò le Brigate Rosse).

Quel lato oscuro dell’Italia, insomma, che oggi, almeno in parte, è cronaca giudiziaria ma che allora era materia incandescente capace di bruciare chiunque volesse metterci le mani.

Tanto più un regista caparbio come lui, origini toscane (Castelfiorentino) e piglio da combattente, che per produrre i suoi film ha sempre dovuto battersi con le strettoie del mercato cinematografico, quando non addirittura con l’ostinazione della censura.

Ma dal 2012, e davvero Beppe non se lo sarebbe aspettato, ha dovuto combattere un’altra battaglia, quella contro una malattia feroce e insidiosa che oggi se l’è portato via. Ma che fino all’ultimo non l’ha fermato. Come testimonia il recente braccio di ferro con la Rai per la distribuzione e la messa in onda del suo film su Guido Rossa, il sindacalista ucciso dalle Br nel ’79, che l’ha portato persino a fare appello all’allora presidente Napolitano. Anche in quel caso, seppure dopo parecchio tempo, riuscì a spuntarla: Guido che sfidò le Brigate Rosse fu trasmesso da Raitre.

Questo era Beppe Ferrara e ci mancherà moltissimo.


Gabriella Gallozzi

Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e dei premi Bookciak, Azione! e Bookciak Legge. Prima per 26 anni a l'Unità.


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