Il cuore di Simon per “riparare i viventi”
In sala del 26 gennaio (per Academy Two) il film della giovane regista francese Katel Quillévéré dal magnifico romanzo di Maylis de Kerangal, passato ad Orizzonti al festival di Venezia. Un melodramma sospeso tra lirismo e realtà sul lutto e la vita che continua…
Soltanto 24 ore a disposizione. E un cuore. Un cuore innamorato, pieno di vita, di un ragazzo di 19 anni, Simon, abituato a sfidare col surf le onde del mare di Normandia. E lontano da lì una donna cinquantenne, Claire, cardiopatica, con due figli adulti e un destino segnato dalla malattia. Sarà un incidente stradale ad incrociare queste due esistenze tra la vita e la morte.
Soltanto 24 ore a disposizione, perché quel cuore di ragazzo, ormai in coma irreversibile, possa arrivare a Claire per farle riaprire gli occhi all’alba di un livido mattino. Livida come quella che appena 24 ore prima aveva visto Simon prima dello schianto in auto, dopo aver cavalcato la sua ultima onda.
Chi ha letto il romanzo di Maylis de Kerangal, Riparare i viventi (leggi la recensione di Stefania Chinzari), avrà sicuramente un motivo in più per vedere il film che la giovane e premiata regista francese Katell Quillevéré, ha tratto da queste magnifiche pagine, capaci di trasformare in poesia la materia stessa del lutto.
Passato in concorso ad Orizzonti, Riparare i viventi è un melodramma a tratti straziante, sospeso tra lirismo e realtà. Che, come nel romanzo, non teme di mostrarci la “materia” del cuore, con le sue vene, le sue arterie, i suoi ventricoli. Che ci accompagna nello sgomento di questa coppia di genitori (Emmannuelle Seigner e Karim Leklou) davanti al corpo del loro ragazzo tenuto in vita solo dalle macchine, chiamati a decidere per la donazione degli organi. “Basta che non siano gli occhi” dice la madre al giovane infermiere (Tahar Rahim) che si occupa di “accompagnare” i corpi dei donatori.
E ci si commuove persino nel vedere al lavoro quella complessa, costosissima e sofisticata macchina di solidarietà che sta dietro ad ogni trapianto. Quasi fosse un documentario. Le telefonate incrociate degli ospedali. La tabella del centro trapianti dove si annotano gli organi a disposizione, un fegato, un rene, un cuore… L’elicottero che atterra, la polizia che scorta i medici col loro prezioso “dono”. La sala operatoria allestita in piena notte…E il cuore di Simon che torna a pulsare nel corpo di Claire. Perché come dice Maylis de Kerangal: è necessario “seppellire i morti e riparare i viventi”.
In questo senso il film di Katell Quillevéré, che al tema del lutto ha già dedicato il precedente Suzanne, è un film “illuminista”, ma certamente non a tesi e magari difficile da digerire nell’Italia ancora oggi ferocemente divisa sui grandi temi del testamento biologico, dell’eutanasia. Ma questa è un’altra storia.
Maylis de Kerangal che ha seguito da lontano la stesura della sceneggiatura (“davanti ad un adattamento lo scrittore deve mettersi da parte”) dice di aver “amato molto il film” e di essersi “commossa”.
Riparare i viventi sarà in sala dal 26 gennaio per Academy Two. Decisamente da vedere.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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