“Adesso porterò la mia fune tra i giganti dell’isola di Pasqua”
A colloquio con Philippe Petit, il funambolo francese che ha ispirato “Walk”, con la sua camminata sul filo, sospeso tra le Torri Gemelle. Apprezza il film di Zemeckis ma detesta la tecnologia: “I nostri sensi vanno stimolati”…
“Da bambino amavo arrampicarmi sugli alberi e usare le funi, andavo a teatro e a sei anni ho imparato dei trucchi di magia. Non avevo una lista delle cose che avrei voluto fare da grande, per me è stato assolutamente naturale diventare un funambolo”. Oggi i riflettori della Festa sono tutti per lui: Philippe Petit, l’acrobata francese entrato nel mito per aver attraversato, su una fune, le Torri Gemelle del World Trade Center di New York nel 1974.
Alla sua impresa, infatti, è dedicato The Walk che Robert Zemeckis ha portato al cinema – e oggi qui all’Auditorium – ispirandosi al libro scritto dallo stesso Petit ventotto anni più tardi: Toccare le nuvole (Ponte alle Grazie). Nella parte dell’artista francese Joseph Gordon-Levitt, che è stato istruito in otto giorni, prima dell’inizio delle riprese, proprio da Petit. “Ho insistito affinché Gordon-Levitt potesse esercitarsi con me – spiega alla stampa -. Abbiamo allestito un magazzino con cavi e fili e, dopo poco più di una settimana, era in grado di percorrere circa dieci metri su una fune. Volevo potesse comprendere l’anima, la nobiltà e l’eleganza, ma anche quel moto di ribellione e di sfida che si prova nel camminare in bilico, su quel filo che è il filo della vita, ed è esso stesso qualcosa di vivo, una sorta di animale che ci accompagna in questo viaggio tra le nuvole”.
Proprio la fune è qualcosa di essenziale in questa forma d’arte, non è semplice supporto tecnico, ma “un modo per collegare due luoghi separati, e collegando luoghi si possono collegare anche le persone, unirle; il cavo ha qualcosa di religioso e di spirituale proprio per questa sua capacità di mettere in relazione le cose, porto sempre un filo rosso nella tasca della mia giacca”. Un cavo che richiede allenamento – Petit continua tuttora ad esercitarsi per tre ore al giorno – e che crea sogni e speranze per progetti futuri.
Primo fra tutti quello di camminare sulla fune tra i busti dell’isola di Pasqua nell’Oceano Pacifico, e poi magari tornare in Italia, a Roma o a Carrara, dove Petit è rimasto folgorato dalle cave di marmo e dove immagina di potersi esibire. Un’arte e una passione quella del funambolismo che vanno ben oltre la paura, che hanno spinto il funambolo ad attraversare più volte il cavo che collegava le due Torri Gemelle, “perché la prima camminata fu perlopiù perlustrativa, per provare la corda, e arrivato dall’altro lato mi sentivo come un re, e la torre era il mio trono… In quel momento ho capito che doveva iniziare l’esibizione, ho percepito che il pubblico si era radunato e sono risalito sulla fune”.
Ma cosa pensa Petit del film realizzato da Zemeckis, e in che rapporto si trova con le nuove tecnologie e con il 3D usato dal regista americano? L’artista francese si dice appassionato e pienamente soddisfatto del film, per quanto non condivida la scelta di aggiungere alcuni elementi non reali, richiesti da Hollywood e da quel modo di fare cinema. Il 3D invece “era necessario prevalentemente per le scene in cui Gordon-Levitt è in cielo, lì rende il tutto più spettacolare e trasporta lo spettatore sulla fune accanto al protagonista”.
Insomma, una flebile apertura alle nuove tecnologie che Petit tiene abitualmente a distanza (non sopporta neanche orologi e cellulari). “I nostri sensi – conclude – si stanno addormentando. A causa delle tecnologie, non sentiamo più odori e profumi. Dobbiamo invece mantenerli vivi ed estendere le loro capacità per crearne di nuovi”. E questo è il ruolo che si è scelto Petit, artista poliedrico, che senza timore si definisce teatrante, mago e giocoliere, un uomo solo sulla sua corda, con cui può portare tra le nuvole la propria vita e il proprio teatro.
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