“Fai bei sogni”, ma lo vogliamo dire com’è il libro?

Recensione del bestseller di Massimo Gramellini che, come recita la manchette, è “il più amato dagli italiani”… Un manuale ricco di commenti prêt-à-porter per affrontare di petto la verità, aggredire la sofferenza per ricominciare a vivere.Salvo scoprire che il “diritto alla gioia” non è per tutti. Nei cinema l’adattamento di Marco Bellocchio…

Fais de beaux reves (c) Simone Martinetto 3-1

Un po’ giornalista, un po’ scrittore. Un po’ di questo e un po’ di quello. O forse nessuno dei due. Del resto, lo dice lui stesso, nella postfazione all’ennesima ristampa del libro “più amato dagli italiani”, come recita la manchette che introduce al volume.

Il Lui è Massimo Gramellini, un nome che non ha bisogno di presentazioni. Il libro è – naturalmente – Fai bei sogni. La postfazione – dell’ultima edizione – è un resoconto fedele della chat che l’editorialista de La Stampa (e personaggio televisivo di prima grandezza) ha avuto coi suoi lettori. E a loro, Gramellini spiega che da ragazzo voleva fare lo scrittore ma è diventato giornalista perché era l’unico modo per guadagnarsi da vivere con le parole. Ma adesso se qualcuno lo definisce scrittore, lui è orgoglioso di essere “soprattutto un giornalista”.

Forse, una via di mezzo. Anche se leggendo il libro si ha la sensazione che una delle due parti prevalga sull’altra. E a vincere sia il corsivista de La Stampa. Che comunque alle spalle ha una lunga gavetta nei quotidiani. Lo si capisce dalla capacità – tipica di un giornalista e prima ancora di un bravo cronista – di raccontarti un ambiente, un’atmosfera da dettagli, da particolari. Apparentemente insignificanti. Dalla fotografia appesa ad una parete, alla cintura di una vecchia giacca da camera, che ricorda il cordolo delle tende.

Ma a far pendere il pendolo dalla parte del giornalista, c’è anche e soprattutto quello stile – tutto dei giornalisti italiani, che cresce proporzionalmente alla fama, ma che è una costante rintracciabile ovunque –; quello stile, si diceva, per il quale, chi scrive non si limita a fornire elementi al lettore. Che poi valuterà, criticherà, adotterà o respingerà. Ma il “giornalista italiano” ti fornisce anche la chiave di lettura della situazione, bella e pronta. In genere rapida, breve. Concisa: “Dovevo agire. I mostri del cuore si alimentano con l’inazione. Non sono le sconfitte a ingrandirli, ma le rinunce”.

E questi commenti prêt-à-porter seguono passo passo tutto l’evolversi della storia. Perché c’è una storia. Personale, autobiografica. Drammatica. Che ormai conoscono tutti: è il racconto di un segreto, conservato in una busta arancione. Svelato dopo 40 anni. È la storia di un bambino che perde la madre, è il diario – a grandi linee – di un adolescente, che diventa ragazzo, poi uomo portandosi dietro una strana sensazione, quasi di rimprovero verso una donna, sua madre, che l’ha abbandonato in tenera età. Privandolo del suo diritto all’amore.

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Una storia che si concluderà in modo spiazzante, con la scoperta della tragica fine della donna. Che scelse di suicidarsi, convinta di avere un male incurabile. Scoperta avvenuta leggendo un ritaglio, conservato da un’amica di famiglia, di un giornale. Un vecchio ritardo del suo attuale giornale: La Stampa.

La dedica è a tutte le persone segnate dal dolore, a tutti coloro che hanno perso qualcosa. Qualcosa di importante. La morale è esplicita, espressa da brevi frasi della sua compagna o da riflessioni dell’autore. Fai bei sogni è una sorta di manuale – consigliatissimo a giudicare dai commenti dei lettori – sul rifiuto ad accettare la realtà, un manuale su chi continua a camminare coi paraocchi. Quando basterebbe affrontare di petto la verità, aggredire la sofferenza per ricominciare a vivere.

Qualcuno direbbe che alla fine, insomma, vince l’amore. Anche se detto così può sembrare che il libro sia banalotto e non lo è. Magari è semplice, ha pretese divulgative ma non è banale. “Oggi riesco a pensare a mia madre senza più provare dolore perché ho accettato intimamente una verità indimostrabile: che tutto ciò che accade è sempre giusto e perfetto”.

Ecco, così scrive Gramellini. Anzi, meglio: scriveva. Il libro termina con Gramellini che “manda tutto il suo amore alla madre” e la lascia andare. Si conclude con la donna che si materializza vicino a lui. “… ad un certo punto la vita ha ricominciato a risorgere dalle caviglie come una corrente d’aria fresca”.

Questo quattro anni fa, quando uscì Fai bei sogni. Oggi è diverso. Molto diverso.
Oggi su La Stampa, il corsivista Gramellini rimprovera Doina Mattei, la ragazza romena condannata a sedici anni per l’“omicidio preteritenzionale”  della sua coetanea Vanessa Russo. Durante un banale litigio. Nel suo “Buongiorno”, in prima pagina sul quotidiano torinese, Gramellini ammette che la sentenza è barbaramente spropositata (anche se usa aggettivi più smussati) ma comunque rimprovera Doina di aver pubblicato su FaceBook le sue foto appena avuto il permesso di uscire dal carcere. Foto che immortalavano una ragazza allegra dopo nove anni in cella. Foto che le sono costate la sospensione della semilibertà, beneficio a cui poi – fortunatamente – è stata riammessa.

Doina, insomma, senza il diritto alla gioia. Senza il diritto a fare i conti col proprio dolore, con i mostri che si porta dentro. Senza il diritto a ritrovare il sorriso dopo una tragedia. E magari senza il diritto a scodinzolare, come fa il cagnolino di Gramellini, Billie all’ultima riga del libro. Ma Fai bei sogni era di quattro anni fa. Oggi è diverso.