L’amore ai tempi dei cuori aperti, quasi spalancati. Alle Giornate si rilegge Franca Rame
Passa alle Giornate degli Autori, parallele a Venezia 81, “Coppia aperta quasi spalancata”, rilettura moderna della pièce di Franca Rame, diretta da Federica Di Giacomo. La galassia di possibilità delle nuove frontiere relazionali si spalanca davanti a un’attrice mentre mette in scena il testo, così come davanti allo spettatore, alle prese quasi con una docufiction. E tra “polecole“, “poliamore” e “metapartner” è facile smarrirsi…
Alzi la mano chi sa dire, senza googolare, cosa sia un polecola. E un metapartner? Un sex positive party? E le regole che normano una relazione poliamorosa?
Per aggiornare il glossario contemporaneo delle possibili relazioni amorose ci viene oggi messo a disposizione un agile strumento: Coppia aperta, quasi spalancata, il film di Federica Di Giacomo, (già autrice di Liberami e de Il palazzo) tratto dalla celebre omonima opera teatrale scritta da Franca Rame, insieme a Dario Fo, nel 1983, presentato alle Giornate degli Autori e nelle sale dal 29 agosto con I Wonder Pictures.
La commedia, ancora di grande attualità, viene da anni portata in scena da Chiara Francini che è la protagonista anche del film, accompagnata da Alessandro Federico, Karl Gustaf Fredrik Lundqvist, Sara Girelli, Chloe Gatti, Daniele Gatti, Efrem Sposini. Li vediamo tanto alle prese con brani dello spettacolo quanto nel peregrinare alla ricerca di aggiornamenti sul tema delle relazioni, non più necessariamente di coppia. Difficile fissare una definizione del film: una commedia? Sì, a tratti, ma per altri versi ha tutte le caratteristiche di una docufiction costruita attorno a incontri e testimonianze che vengono cercate e raccolte e dovrebbero via via aiutare tanto Francini quanto noi a dare un senso a quanto nel frattempo si sia complicato l’universo delle relazioni.
La pièce scritta da Franca Rame più di quarant’anni fa si potrebbe definire come una classica commedia all’italiana sulla tragicomica storia di una coppia di coniugi, di chiara estrazione sessantottina, e del mutamento della coscienza civile del paese. L’evoluzione del matrimonio borghese è visto alla luce delle riforme legislative degli anni Settanta (divorzio, aborto, ecc), delle trasformazioni dei nuclei familiari e del loro andamento con un occhio fortemente sociologico e antropologico soprattutto nell’indagare la psicologia maschile e la relativa insofferenza al concetto di monogamia.
Sul palcoscenico ritroviamo Antonia (il personaggio scritto da Franca Rame), alla quale il marito propone di spalancare la coppia, imponendole un nuovo codice. Antonia accetta pur di non perdere l’uomo. All’insegna del più antico e a suo modo tradizionale “basta che funzioni”. Ma tutto cambia nel momento in cui lei comincia ad ascoltarsi e a considerare possibile un gioco fuori casa. Così Chiara/Antonia – divisa fra il suo compagno Fredrik e Alessandro, il suo partner in scena e fuori – deciderà di andare alla scoperta di un universo, derivato della coppia aperta degli anni ‘70, fatto di poliamorosi, di giovani (e meno giovani) “contro” il concetto di monogamia, di gruppi di femministe e party sex positive e incontrerà tra gli altri Sara, Daniele, Efrem e Ali, che vivono felicemente in una polecola, cioè una famiglia poliamorosa.
Cosa succederebbe se Antonia dall’83 piombasse nel presente? Francini, nel suo vagabondare tra collettivi femministi e gruppi di poliamorosi militanti, interpreta l’autentico senso di spaesamento di chi si ritrova di fronte ad un microcosmo di persone alla ricerca della felicità attraverso relazioni non precisamente codificate dalla morale corrente. Siamo in Italia, del resto, e non possiamo non dirci figli di una cultura cattolica e conformista, ci piaccia o meno, consapevole o meno, un retaggio originario ce l’abbiamo tutti. Il film mette in scena un’operazione leggera, ma nel contempo, attuale e ironica. Ci vuole molta ironia per non sprofondare sotto il peso dei dogmatismi (anche parecchio contraddittori) delle elaborazioni teoriche dei collettivi e dai frontismi generazionali che non ci vengono risparmiati.
Non un film perfetto, quello di Federica Di Giacomo, ma in un momento storico in cui il concetto di famiglia tradizionale si è praticamente sgretolato, questo film, e ancora prima l’opera teatrale da cui è tratto, spinge la protagonista a chiedersi (e quindi a chiederci a nostra volta) se siamo effettivamente pronti ad accogliere nuove forme di relazioni e di legami. Quasi ad aggiornare la mappa con nuovi – sempre che poi siano così nuovi – confini delle relazioni sentimentali.
Gino Delledonne
Gino Delledonne
Architetto e docente universitario a contratto. Ha collaborato alle pagine culturali di vari giornali tra i quali "Diario" e "Archivio". Devoto del gruppo garage punk degli Oblivians.
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