Le “Barriere” al cinema di Denzel Washington
In sala dal 23 febbraio (per Universal Pictures) un altro favorito agli Oscar: “Barriere” di Denzel Washington, tratto dall’omonima pièce con la quale il drammaturgo August Wilson ha vinto il Pultitzer. Grande prova d’attore ma che sa poco di cinema…
Rompere le “barriere” contro i pregiudizi razziali e d’ogni sorta. Nell’anno in cui l’Accademy, reduce dalle passate accuse di razzismo, apre massicciamente all’universo afroamericano, Denzel Washington guida la pattuglia dei favoriti all’Oscar con Barriere, estratto dalla vasta opera del drammaturgo August Wilson (The Pittsburgh Cycle) che dell’animo e della storia black è stato narratore da Premio Pultitzer.
Per molti anni Wilson, scomparso nel 2005, ha rincorso l’idea di portare sul grande schermo la pièce che gli fruttò il celebre premio. Tanto da aver lasciato la sceneggiatura che ora, fatalità, si ritrova una candidatura all’Oscar.
Denzel Washington si è innamorato del testo dopo averlo interpreto a Broadway nel 2010 e ricevuto una pioggia di riconoscimenti. Così il passo è stato breve e, a distanza di dieci anni da The Great Debater, ugualmente dedicato alle battaglie contro i pregiudizi razziali, il celebre attore si è nuovamente messo dietro alla macchina da presa per questo dramma a tinte forti e dall’impianto decisamente claustrofobico.
Affiancato come in teatro da Viola Davis – anche lei in lizza per l’Oscar – il vecchio Danzel è nei panni di Troy Maxson, uno spazzino nero di mezza età che nell’America razzista degli anni Cinquanta, riversa in famiglia le sue sconfitte e le sue frustrazioni di ex giocatore di footbal messo fuori gioco dal razzismo dei bianchi.
La vita di Troy, di sua moglie Rose e del figlio adolescente, è chiusa nell’angusto spazio della loro casa di periferia, circondata da una staccionata di legno in costruzione: barriera “difensiva” contro le aggressione del mondo esterno, ma anche ostacolo all’emancipazione di chi, come il ragazzo, vorrebbe affrancarsi dai dictat violenti del padre-padrone per tentare la carriera del footbal.
Nel mezzo le contraddizioni di un uomo – ha una doppia vita con un’altra donna da cui avrà una bambina – che non vuole fare i conti con un mondo che, inevitabilmente, si muove verso il cambiamento, ma che resta sulla difensiva come un leone in gabbia ferito capace soltanto, a sua volta, di costruire staccionate.
Denzel Washington interpreta la sceneggiatura di Wilson con estremo rigore, facendo “barriera” all’essenza stessa del cinema, però.
Coi movimenti di macchina ridotti all’osso, tre soli spazi scenici e un fiume di parole, la regia rimanda quasi al teatro fotografato delle origini. Costringendo la narrazione nel luogo asfissiante di un melodramma convenzionale – nonché soporifero – a cui la grande intensità degli interpreti non basta a far cambiare rotta. Facendo venire voglia, invece, di vederlo a teatro.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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