“Le Vietnam sera libre”, autoritratto a quattro mani di Cecilia, la combattente
Sabato 27 aprile (con replica il 28) al Bif&est di Bari proiezione di “Le Vietnam sera libre”, di Cecilia Mangini e Paolo Pisanelli. Un viaggio doc sul filo della memoria attraverso gli scatti fatti in Vietnam nel ’64 dalla decana del documentario italiano. Una toccante e rigorosa riflessione sul valore della memoria, ma anche un delicato e luminoso “autoritratto” a quattro mani di una combattente. Presentato alla Festa di Roma 2018 …
Paolo Pisanelli e Cecilia Mangini
È un film sulla memoria, sulla sua perdita, sulla necessità di ricostruirla. Attraverso lo sguardo, sguardo d’autore, anzi in questo caso d’autrice, curioso di raccontare, sempre, facendo scelte di campo anticonformiste. Sì proprio come quelle donne vietnamite orgogliose di spogliarsi degli abiti da operaie per indossare quelli da guerriere, da combattenti col fucile e farsi fotografare da un’altra donna combattente come loro: Cecilia Mangini, armata allora della sua macchina fotografica.
È tutto questo Le Vietnam sera libre, appena trenta minuti di immagini ma lunghi poco meno di un secolo. Quello vissuto dall’inarrestabile signora del documentario, 91 anni e anche questi narrati con rigore e tenerezza in questo suo ultimo lavoro firmato a quattro mani con Paolo Pisanelli, diventato negli anni suo complice e cantore.
L’idea di partenza, infatti, è stata sua, del regista pugliese di Buongiorno Taranto, Ju Tarramutu e animatore di un piccolo grande fetival del documentario, la Festa di cinema del reale a Specchia. Sua l’idea di ridare vita a quei negativi ritrovati in una scatola chiusa in un armadio di casa Mangini e dimenticati per cinquant’anni. Si tratta degli scatti fatti da Cecilia in Vietnam nel 1964. Con Lino Del Frà, suo compagno d’arte e di vita, erano andati per le vie di Hanoi ed oltre decisi a girare “un film documentario sull’aggressione degli Stati Uniti al Vietnam del Nord, sulla guerra imperialista che aveva scatenato reazioni in tutto il mondo”.
Quattro mesi di sopralluoghi per documentare la resistenza di un popolo. “Un popolo che non si piegava – racconta Cecilia – che del resto aveva già vinto i francesi nel ’54, ribellandosi alla colonizzazione”. Un popolo che non voleva apparire vittima. “Resistente sì, combattente sì, ma vittima mai”, tanto che quella foto ai soldati mutilati tornati dal fronte è costata a Cecilia e Lino una “visita” in commissariato.
Scorrono le immagini ritrovate, le foto sottratte all’oblio. Le donne al mercato, i bambini che giocano, una coppia di fidanzati seduti su una panchina, come fossero in una qualsiasi città europea, sottolinea la voce fuori campo in francese, mixando frammenti del soggetto del film. Scorre il quotidiano di un popolo secondo la sfida di partenza: “raccontare la vita di un paese in guerra”. E i cannoni e i fucili, infatti, arrivano. Della panchina dei due inamorati scopriamo lo schienale sventrato dalle bombe. Le immagini dei bimbi tremano e il montaggio sapiente (di Matteo Gherardini), frenetico, ritmato rimanda a tanto cinema della stessa Mangini, immerso nella grande lezione dei sovietici.
Nel mezzo è Cecilia tra le sue stanze piene di libri, i suoi gesti quotidiani a raccontarsi: “io sto perdendo la memoria, dimentico le date, i nomi … Sono le fotografie a ricordarmi”. Come queste, nel loro magnifico bianco e nero, scattate mezzo secolo fa, che riportano in vita anche quelle donne combattenti e orgogliose “che erano in guerra alla pari degli uomini”, e fiere di mostrarsi all’obiettivo col loro fucile da resistenti. “Erano donne militanti” conclude Cecilia, ricordando che il film non si sarebbe più fatto ma che il Vietnam, però, avrebbe vinto la guerra. Mentre lei è qui ancora oggi a ricostruirne la memoria, in questo delicato e luminoso “autoritratto” a quattro mani di una combattente.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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