Ecco a voi “Mr Gaga”, il rivoluzionario della danza

Per gli appassionati del coreografo israeliano Ohad Naharin e della sua danza dionisiaca e viscerale appuntamento il 22 maggio al Teatro Eliseo di Roma, dove la breve rassegna InMovimento, a cura di Valentina Marini, si inaugura alle 20 proprio con il film-documentario di Tomer Heymann, Mr Gaga. A seguire, un incontro con il regista. Di seguito la recensione uscita in occasione della fugace apparizione nelle sale italiane (per Wanted) del documentario…

download-9

Non basta il talento: ci vuole tenacia, spirito di sacrificio, persino devozione per seguire uno come Ohad Naharin, artista fra i più pulsanti e creativi della danza contemporanea. Tomer Heymann ci è riuscito, e non da danzatore ma da regista, ricostruendo fotogramma dopo fotogramma – nel corso di svariati anni – la carriera del geniale e complesso coreografo israeliano.

Documentario, film e insieme ritratto affascinante, Mr Gaga racconta come fu che Naharin è diventato il celebrato ideatore di un metodo (il gaga, appunto, nome preso in prestito dalla prima parola pronunciata da Ohad bambino) per ascoltare il proprio corpo e permettergli di sprigionare segrete e personali sintonie di movimento. Quelle stesse che rendono elettrizzanti gli spettacoli della sua compagnia, la Batsheva, che dirige fin dal 1990.

Risale più o meno a quella data il senso di Heymann per Naharin, quando Tomer ragazzo capita per caso e controvoglia a un suo spettacolo. La folgorazione è simultanea per la danza e per la cinepresa, con la quale spera di poter girare un film sul lavoro di Ohad. Venticinque anni dopo ci è riuscito, vincendo le resistenze di un artista e di un’arte che vive del presente, (in)seguendo la sua parabola creativa, e intarsiandola con pezzi di intimità, foto e film di famiglia, come sorprendenti retroscena di un personaggio pubblico.

Il sentiero di Heymann nel raccontare Mr Gaga non è lineare, scarta di continuo. Comincia dall’immediatezza di una prova in studio mentre una danzatrice prova e riprova una caduta sotto le incalzanti richieste di Naharin, fino a raggiungere la spontaneità di quell’azione. Alterna frammenti biografici – con qualche “trappola” di fiction alla Woody Allen  -, risale agli incontri importanti. A quando lo voleva Martha Graham (che lo ha portato a New York) o Maurice Béjart (l’apprendistato più “noioso” della sua carriera di danzatore, ma che lo spinge alla ricerca di un percorso personale).

E, fra tutti i volti, quello di Mari Kajiwara, luminosa e magnetica stella nella compagnia di Alvin Ailey, che sceglie Naharin per compagno e per destino d’artista. Moglie e musa, ispiratrice della prima coreografia di Ohad – quel Pas de Pepsi del 1980, pezzo surreale e semidivertito sulla dipendenza di Mari per la popolare bevanda.

“Traduttrice” indispensabile del linguaggio di Naharin per gli altri interpreti. Amata immortale nonostante un brutto male se la porti via nel 2001. È nell’elaborazione di quel lutto che il coreografo deciderà di estendere l’insegnamento del Gaga oltre i propri danzatori, a tutte le persone, esaltandone le capacità di riabilitazione del corpo e dell’anima.
Lo sguardo di Heymann dietro la cinepresa riprende con discrezione, come se fosse di lato, lasciando alle testimonianze di colleghi e danzatori e alle immagini di archivio il compito di delineare il profilo di Naharin. Lui, Ohad, interviene sottolineando qua e là qualche passaggio, magari “prestandosi” a qualche gioco di regia, mentre sullo sfondo, onnipresente, è Israele. Patria di entrambi, coreografo e regista, radice amatissima che ha segnato profondamente Naharin.

Dagli anni felici del kibbutz ai giorni durante la guerra del Kippur, i cui orrori marcano nel profondo alcuni suoi lavori. Al desiderio fortissimo di ritornare, dopo la pur fertile parentesi newyorchese, cogliendo al volo l’opportunità di dirigere la più importante compagnia di danza israeliana, la Batsheva.
Invitato a esibirsi nel 1998 per le celebrazioni del 50esimo anniversario della nascita dello Stato di Israele, Naharin propone Anaphase, in cui i danzatori si spogliavano della tenuta kaki per restare in indumenti intimi. Qualche zelota vide le prove e protestò, spingendo il presidente Ezer Weizman in persona a chiedere di censurare quella sequenza. Ohad si rifiutò in nome della libertà d’espressione, così come sostiene tutt’oggi che la danza insegna a non dare importanza a connotazioni nazionali, religiose, geografiche.

È quel respiro libero che circola all’interno della Batsheva, così come negli stage di Gaga aperti a tutti. Un’energia possente che scuote i corpi in danze quasi dionisiache e della quale Heymann testimonia il colore, la forza, la sferzante carica che li attraversa in sequenze mozzafiato.

Meno patinato e più “vero” dell’omaggio che Wenders fece alla Bausch con Pina, Mr Gaga è un docu-film per platee curiose, pronte a farsi coinvolgere dalle spirali di senso ed emozione di Naharin. Chissà, magari facendovi scoprire la vostra vocazione come è successo a Tomer…