Nelson Pereira dos Santos, un cineasta prestato alla letteratura
In memoria di Nelson Pereira dos Santos, il grande regista brasiliano scomparso a 90 anni lo scorso 21 aprile. È stato il padre e il nonno del “Cinema novo” che avrebbe dato i suoi frutti a seguire con Glauber Rocha. Ma soprattutto è stato un cineasta che ha attinto alla letteratura a piene mani, portando al cinema i capolavori di Jorge Amado, Graciliano Ramos, Guilherme Figueiredo. Un bel ricordo di Ernesto Perez …
Quando nel 1955, la Nouvelle Vague francese era solo un sogno nella mente di un grappolo di critici cinematografici riuniti intorno al settimanale socialista, Le Nouvelle Observateur e all’elitario Cahiers du Cinéma, un giovane paulista (San Paolo, capitale morale e finanziaria del Brasile) senza saperlo, gettava le basi del “Cinema novo” col suo film d’esordio: Rio 40 graus.
Figlio devoto di quel Neorealismo italiano che stava esalando gli ultimi sospiri con Il tetto di Vittorio De Sica, Nelson Pereira dos
Santos, che si è spento il 21 aprile scorso nella sua città di adozione, Rio de Janeiro a quasi 90 anni (li avrebbe compiuto il 22 ottobre), è stato il padre e anche il nonno di quel movimento che avrebbe dato i migliori frutti con Glauber Rocha nel decennio successivo.
A differenza, però, dell’enfant terrible del “Cinema novo”, fuggito in Europa dalla dittatura militare, Nelson non lasciò mai il Brasile con la sua fedele moglie Ivelise e i suoi quattro figli, uno dei quali, Ney Santanna, seguirà i suoi passi come attore, produttore e regista e come padre di Thalita Lippi e Mila Chaseliov, rispettivamente attrice e costumista che rinunciarono al cognome di così tanto illustre padre.
Il 1955 è l’anno in cui Pereira dos Santos lascia la sua San Paolo, dopo la nascita del primo figlio Ney e s’installa a Rio de Janeiro, dove si guadagnerà da vivere, prima come critico e giornalista e poi con la professione di regista che non abbandonerà mai più.
Rio 40 graus, nell’ottica zavattiniana del pedinamento, senza un’apparente sceneggiatura, segue le deambulazioni dei “menini da rua” dalla loro bidonville in cima alle colline che circondano Rio verso Copacabana, la spiaggia dei ricchi.
Al suo arrivo in sala il film esplode come una bomba nel sonnolento panorama del cinema brasiliano, appena risvegliato dal ritorno in patria del “collega” Alberto Cavalcanti che, in Europa, era diventato famoso tra muto e sonoro, collaborando coi
surrealisti francesi e con la scuola documentarista inglese.
Ma è nel 1963 che, portando sullo schermo il capolavoro della letteratura di stampo sociale di Graciliano Ramos, Vidas secas (Siccità), storia di una povera famiglia contadina dell’arido nordeste brasiliano, Pereira dos Santos si scopre il più letterario dei cineasti del suo paese, adattando non solo Memorias do carcere (1984) dello stesso Ramos ma anche i romanzi di successo di Jorge Amado come Jubiabá (1986) o La bottega dei miracoli (1977) e di Guilherme Figueiredo (Fome de amor, 1968) o lavori teatrali di Nelson Rodrigues (Boca de ouro, 1963).
Pereira dos Santos ha vinto anche la sfida più difficile, quella di portare sul piccolo schermo, nel 2000, il grande romanzo antropologico di Gilberto Freyre, Casa grande e sensala (sulla differenza tra le case dei ricchi e dei poveri, queste ultime senza sala da pranzo) il che lo ha reso l’unico cineasta ad essere stato ammesso come membro dell’Accademia Brasiliana di Letteratura.
Negli ultimi anni si era dedicato sporadicamente alla musica, un’altra delle sue grandi passioni, con documentari su Chico Buarque de Hollanda (Raizes do Brasil, 2003) e Antonio Carlos Jobim (A musica segundo Tom Jobim e A luz do Tom del 2012 e 2013).
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