Isabelle Huppert eternamente Eva. La “femme fatale” tra cinema e letteratura

In sala dal 3 maggio (per Teodora) “Eva”, nuovo adattamento del noir di James Hadley Chase per la regia, molto cinefila, di Benoit Jacquot. A Isabelle Huppert il ruolo della femme fatale: una prostituta d’alto bordo che trascina nel gorgo uno scrittore truffatore. Negli stessi panni Jeanne Moreau nella versione di Joseph Losey del ’62. E l’archetipo del noir si rinnova senza sosta. Passato in concorso alla Berlinale …

Il principio letterario è Eva di James Hadley Chase (Feltrinelli), uscito nel 1945: romanzo fondativo del noir, archetipo della femme fatale al cubo. Un testo già portato sullo schermo da Joseph Losey nel 1962, nell’omonimo Eva con Jeanne Moreau nella parte della protagonista.

Qui Eva “diventa” Isabelle Huppert, nell’opera di Benoit Jacquot presentata in concorso alla Berlinale 2018. Esperto di adattamenti difficili, come À jamais tratto da Body Art di Don De Lillo a Venezia 2016, Jacquot continua qui il suo lavoro di reinstallazione cinematografica della fonte letteraria.

Un anziano scrittore muore nella vasca da bagno. Solo un uomo, Bertrand (Garspard Ulliel), conosce l’esistenza del suo ultimo manoscritto e può quindi plagiarlo, pubblicandolo a suo nome. Il problema – come sempre – è quando il giovane è chiamato all’opera seconda: il mondo della letteratura lo attende, lui non sa cosa scrivere. È qui che incontra Eva (Huppert), prostituta di alto bordo, donna matura e insondabile, che potrebbe ispirare il prossimo dramma. Per farlo – però – finirà per trascinarlo nel suo gorgo.

Della femme fatale ti innamori senza motivo, secondo Jacquot: è un’attrazione ipnotica e inspiegata, dunque concettuale, che rende la donna fatale una figura astratta, un archetipo del cinema che torna continuamente in nuova forma. Bertrand è attratto da Eva, sottomesso al suo giogo: è un giovane e bello che si infatua di una donna matura e quasi anziana, perfino posticcia come dimostra il trucco che Huppert si applica meticolosamente, insieme alla parrucca che è la sua maschera.

Jacquot passeggia liberamente nel testo di riferimento e ragiona sugli stereotipi: raffredda i sentimenti, cerca il secondo e terzo grado di lettura (apertamente citato), ovvero quello che parla di cinema e delle sue figure primigenie. Riempie il racconto di doppi e ricorsi, come la compagna di Bertrand quale negativo di Eve, con l’incontro tra le due che arriva solo nel finale, ed il sentimento esplode sulle note di Pensiero stupendo. Una canzone che racconta un triangolo.

La versione di Jacquot è soprattutto un film cinefilo: corteggia il noir classico e sfiora Chabrol, per cui Huppert era interprete prediletta e ugualmente inafferrabile, come in Grazie per la cioccolata. In tal senso l’attrice, oggi 65enne, esegue per l’ennesima volta un ruolo che ripete ma non usura: al contrario è omaggio vivente all’archetipo, rinnova costantemente il suo enigma.


Emanuele Di Nicola

giornalista e critico cinematografico


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