Quelli che restano. A Venezia 81 l’omaggio di Walter Salles ad Eunice, una donna contro la dittatura

Il brasiliano Walter Salles torna a Venezia con “Io sono ancora qui” la storia di Eunice Paiva, moglie del desaparecido brasiliano Rubens e madre dello scrittore Marcelo, che ne ha raccontato la storia in un romanzo. Un film che non pretende di ingigantire le emozioni, ma anzi sceglie la compostezza e la sobrietà per concentrarsi su ciò che resta, una famiglia, attorno al buco creato dalla morte di un uomo. Premiato alla Mostra per sceneggiatura …

Non lo diresti mai che una donna potrebbe sorridere soddisfatta e fiera mentre stringe in mano un certificato di morte. Né che davanti a quella immagine nella sala della Mostra del Cinema di Venezia si possa sentire tutto attorno il rumore di pacchetti di fazzoletti cercati, trovati e infine aperti in fretta e furia. Le dittature fanno anche questo, creano ossimori, insozzano la realtà al punto che quando riemerge la si accoglie con commozione, anche se si tratta del suo lato peggiore.

La donna è Eunice Paiva, la sua storia l’ha raccontata in un libro (inedito in Italia) il suo unico figlio maschio, Marcelo, diventato scrittore. Prima di lui l’avevano raccontata i giornali di tutto il mondo, dopo di lui invece l’ha raccolta Walter Salles, che dal romanzo ha preso anche il nome per il suo film, Ainda estou aqui, Sono ancora qui, in concorso a Venezia 81.

Ad Eunice Paiva il ruolo (una Fernanda Torres inarrestabile) per cui è rimasta un simbolo l’hanno servito, suo malgrado, i soldati della dittatura dei Gorillas in una mattina del 1971. Si presentano nella sua casa di Rio de Janeiro, sequestrano suo marito Rubens Paiva, ex parlamentare di sinistra, e sprangano porte e finestre. Dopo un po’ di ore arrestano anche lei e sua figlia.

A casa, però, sono solo le due donne a tornare. Paiva diventa uno dei circa 200 desaparecidos brasiliani, il suo corpo non sarà mai ritrovato, l’esercito spergiura di non averlo nemmeno mai arrestato. È per questo che quella donna tiene in mano con tanto orgoglio, venticinque anni dopo, quel certificato di morte: perché è il riconoscimento definitivo di quello che è successo a suo marito.

Salles, appassionato narratore della storia dell’America Latina (un titolo per tutti, I diari della motocicletta) della famiglia Paiva è stato anche amico, ha conosciuto bene Marcelo e ha lavorato a lungo su questo film. Sette anni, per dare cifre concrete, un tempo in cui il Brasile stesso ha attraversato un’onda che minacciava di riportarlo indietro proprio agli anni della dittatura. Uno dei tormentoni disgustosi di Jair Bolsonaro era infatti che durante quegli anni bui non fossero state uccise abbastanza persone.

In parte nel film si vede il senso di responsabilità che il suo regista deve aver sentito sulle sue spalle, proprio in virtù del presente storico in cui lo ha girato. Dall’altra, si riconosce la deferenza per una persona reale, verso cui Io sono ancora qui trasuda di comprensibile rispetto, che gli ha forse impedito di far scorrere senza ostacoli il flusso delle emozioni. Salles non ha voluto sovraccaricare la sua Eunice, probabilmente per evitare che la finzione esagerata svilisse la realtà. 

La compostezza con cui questa vicenda drammatica viene presentata al pubblico, concentrandosi principalmente sulla famiglia e sulla sua gestione dopo la morte del padre, impone una distanza con lo spettatore. Non è automatico, come invece accade in tanti altri film simili, il senso di coinvolgimento. Bisogna fare uno sforzo, immedesimarsi in una persona che si ritrova da sola a gestire cinque figli e una battaglia mediatica e legale con un regime che le tiene sotto controllo la casa

Perché Salles non ci vuole presentare una vittima, ma una donna che si rimbocca le maniche per rispondere. Emblematica è la scena di un servizio fotografico per un tabloid, dove il fotografo chiede facce meno allegre alla famiglia, ma trova in risposta solo sorrisi. È una lezione preziosa su come spesso pretendiamo che una vittima resti con le orecchie abbassate per poterla davvero riconoscere come tale. Eunice Paiva non lo ha fatto ed è esattamente questo che Salles ha voluto celebrare.