Ritratto dell’autore in privato. “L’amore secondo Kafka” arriva al cinema

In sala dal 31 ottobre (per Wanted) “L’amore secondo Kafka” di Judith Kaufman e George Maas, ispirato al libro del giornalista Michael Kempfmüller (” La meraviglia della vita” Neri Pozza). L’apassionata storia d’amore di Frantz e Dora, danzatrice berlinese e insegnante d’asilo di ricca famiglia ebrea e gli ostacoli imposti dalla famiglia di lei alla loro relazione. Oltre alla malattia, la tubercolosi che porterà alla morte lo scrittore. Poetico e commovente …

Poetico e commovente è L’amore secondo Kafka (titolo originale The glory of life), film in uscita il 31 ottobre con Wanted e dedicato all’amore vissuto con Dora Diamant dal grande e carismatico scrittore praghese di lingua tedesca Franz Kafka (1883-1924) poco prima di spegnersi appena quarantenne.

I registi Judith Kaufman e George Maas – già autori del thriller drammatico Due vite del 2012 – portano sullo schermo, in occasione del centenario della scomparsa, una vicenda di amore e dolore, magnificamente interpretata dai due attori protagonisti, Sabin Tambrea, nel ruolo di Kafka debilitato, insonne e inappetente, e Henriette Confurius, nei panni della bella, coraggiosa, tenace e innamorata Dora.

La storia, tratta dal libro La meraviglia della vita (pubblicato in Italia nel 2013 da Neri Pozzi, traduzione di Chiara Ujka, 236 pp., 16,50 euro) del giornalista free lance Michael Kempfmüller, che ha anche collaborato alla stesura della sceneggiatura, ha inizio nell’estate del 1923, in una piccola stazione balneare affacciata sul mar Baltico dove Kafka, ammalato di una grave forma di tubercolosi, soggiorna con la sorella Elli e i due nipoti.

Lì incontra Dora, giovane danzatrice ebrea ortodossa berlinese e maestra d’asilo. I due s’innamorano perdutamente ma vengono a frapporsi molti ostacoli alla loro unione: la malattia che avanza implacabile, le precarie condizioni economiche e la netta opposizione del padre, il ricco commerciante Hermann, di fronte al quale Kafka aveva maturato “uno sconfinato senso di colpa” e che rimprovera da sempre al figlio la vocazione letteraria che non produce ricchezza.

Funge da “mediatore” con la famiglia il fraterno amico Max Brod, anch’esso scrittore ebreo boemo di lingua tedesca e futuro custode dell’intera produzione kafkiana nonché biografo del genio letterario autore di capolavori quali La metamorfosi (1915), Il processo e Il castello (entrambi postumi, rispettivamente 1925 e 1926), nei quali emerse quale anticipatore del surrealismo e del realismo magico.

Scrisse Kafka, forse con spirito premonitore intorno al 1920 “La mia ultima preghiera: tutto quello che si trova nel mio lascito, dunque nelle librerie, nell’armadio della biancheria, nella scrivania a casa e in ufficio, o dovunque qualcosa dovesse essere stato portato via e che ti capiti a tiro, diari, manoscritti, lettere, di altri e mie, disegni ecc., devi bruciarlo interamente e senza leggerlo, come anche tutti gli scritti e i disegni che tu, o altri a cui tu dovessi chiederlo a nome mio, possedete. Chi non voglia consegnarti delle lettere, dovrebbe almeno impegnarsi a bruciarle di persona”.

Alla morte di Kafka, in qualità di esecutore testamentario Brod – interpretato da un persuasivo Manuel Rubey – non assecondò la richiesta dell’amico e curò la pubblicazione delle sue opere.

Gli amanti Franz e Dora, prima costretti a dividersi, convivono in seguito in una gelida stanza di Berlino, città uscita da poco dalla tragedia della Guerra mondiale, squattrinati e senza medicine, fino a quando Kafka viene ricoverato in un sanatorio in Austria, sempre più debole e gracile, incapace persino di parlare, con l’ossessione di non riuscire a finire le pagine che sta scrivendo. Dora gli resta vicino fino all’ultimo, innamorata e devota.

Kempfmüller nel libro e la coppia Kaufman – Maas sullo schermo ci permettono di scoprire il lato più umano e sensibile del genio letterario: grazie alla passione improvvisa e sorprendente per la giovane, vive la serenità e la gioia del vero amore; finalmente in pace con se stesso e appagato conosce per la prima volta l’intimità, fino ad allora ostacolata dalla tubercolosi e da una famiglia oppressiva.

Nella primavera del 1920, durante un soggiorno per cure a Merano aveva conosciuto la giornalista ceca Milena Jesenská, traduttrice in ceco di molti suoi racconti. A lei Kafka affidò nel 1921 i suoi Diari, assicurando così la sopravvivenza di quest’opera e le sue lettere a lei indirizzate, raccolte nel carteggio Lettere a Milena (tradotte nel 1954) testimoniano di un amore intenso e tormentato, seppure destinato a restare platonico.

Dora danza e si occupa dei bambini e lui prende parte alla celebrazione del rito dello shabbat, racconta favole ai piccoli, come quella del topo, offrendo loro una delle sue metafore più belle e profonde, fondata sulle similitudini tra il mondo umano e quello animale, i cui comportamenti offrivano alla sua sensibilità di scrittore infiniti spunti di riflessione e motivi di ispirazione. E scrive, anche a una piccola allieva sconsolata perché ha smarrito la sua bambola: “L’ho incontrata alla stazione, sta facendo un bel viaggio ed è felice, mi ha inviato una lettera che ho a casa”.

Ambientato in un periodo di crisi e incertezze, povertà, inflazione, antisemitismo e carestia – temi che, seppure mai espressi in modo diretto emergono in maniera sottile e implicita – la storia racconta come, nonostante le avversità, Franz e Dora riescono a trovare un’intimità unica, che annulla le differenze fra i loro mondi man mano che si conoscono: lui uomo di mondo, vizioso, elegante e già ammalato, lei entusiasta maestra d’asilo. Vivono “sotto una campana di vetro, giacché la felicità è tanto maggiore quando sta nelle piccole cose”, indifferenti a quanto accade fuori. Le differenze si fanno irrilevanti e viene a crearsi un equilibrio perfetto destinato però a durare poco.