Roberto Faenza riapre il caso Orlandi, al cinema
Nelle sale dal 6 ottobre “La verità sta in cielo”, il nuovo film del regista torinese dedicato ad uno dei più oscuri misteri della nostra storia recente. E in libreria il romanzo di Vito Bruschini ispirato alle nuove rivelazioni del film. L’8 e 9 ottobre, poi, omaggio a Guseppe Ferrara che a questi “misteri” ha dedicato tutto il suo cinema…
Il caso di Emanuela Orlandi, l’adolescente romana, cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983, è uno dei tanti misteri italiani mai risolti. Raccontato tante volte sui libri, ultimo La verità sul caso Orlandi di Vito Bruschini (Newton Compton editori), e anche a teatro (davvero notevole Il volo delle farfalle di Federica e Matteo Festa), è stato “ignorato” fin qui dal cinema.
Una materia pericolosa, incandescente, si direbbe, difficile da maneggiare. Come sapeva bene Giuseppe Ferrara, scomparso lo scorso giugno che da grande padre del cinema d’inchiesta qual è stato, sul caso Orlandi aveva lavorato a lungo, scontrandosi con gli infiniti muri di gomma di chi è abituato a cercare la verità. E a pagare sulla propria pelle certe scelte, come sperimentò con I banchieri di Dio, sequestrato, censurato, ostacolato in mille modi per aver denunciato, a partire dal crack dell’Ambrosiano di Calvi, quella materia oscura tutta italiana in cui si sono mossi a braccetto, negli anni, Vaticano, servizi segreti, Banda della Magliana, P2, mafia e politica, fino ad arrivare ai giorni nostri col marchio di “Mafia Capitale”.
Con l’arresto di Carminati, infatti, Roberto Faenza fa partire il suo film sul caso Orlandi, La verità sta in cielo, dal 6 ottobre in sala per 01. Sicuro, come dice un personaggio, che “da lì tutto è cominciato”. Parte così l’inchiesta dell’inviata della tv londinese (Maya Sansa) sulla scomparsa di Emanuela, con l’aiuto di una collega italiana che ha scovato una nuova pista: Sabrina Minardi (Greta Scarano), la storica amante di “Renatino” (Riccardo Scamarcio), il temibile Enrico De Pedis, boss della famigerata banda capitolina, talmente ben introdotto nelle stanze del potere anche e soprattutto vaticano, da essersi assicurato dopo la morte – per mano della banda rivale – la sepoltura nella basilica di Santa Apollinare. A lui, nel film, è attribuita la responsabilità del rapimento di Emanuela – e la sparizione del cadavere – come strumento di ricatto nei confronti del Vaticano e in particolare dei “banchieri di Dio” (Marcinkus e Calvi), pesantementi “indebitati” coi boss capitolini, causa scenari internazionali (l’appoggio anche economico alla rivoluzione di Solidarnosc in Polonia).
Questa in sintesi la tesi di La verità sta in cielo che Roberto Faenza ha scritto e girato avvalendosi del supporto di un nutrito staff di legali – nove addirittura – che hanno controllato ogni scena ed ogni battuta del film. Sarà per questo forse, che la pellicola soffre di eccessivo didascalismo nei dialoghi, di personaggi spesso al limite del caricaturale, e scene più familiari all’estetica di Chi l’ha visto? che alla grande tradizione del nostro cinema d’inchiesta, a cui il film tende naturalmente.
Dopo 33 anni di depistaggi, silenzi, connivenze e archiviazioni, però, bisogna riconoscere a Faenza il coraggio e la determinazione di aver firmato un film difficile e rischioso, con l’obiettivo di far riaprire il caso. Un po’ come è stato per La macchinazione di David Grieco su Pasolini, di cui in qualche modo questo film è parente. Riaprire il caso Orlandi, insomma, per far emergere una verità che, come suggerisce Faenza in chiusura, non sta in cielo ma ancora nella mani del Vaticano.
Con l’occasione segnaliamo l’omaggio (leggi il programma) che il Centro sperimentale dedica a Giuseppe Ferrara, l’8 e il 9 ottobre al cinema Trevi di Roma, per rivedere i capisaldi di quel cinema d’impegno civile a cui La verità sta in cielo si ispira.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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