Cosa fare delle cabine telefoniche? “Allo la France” è il doc sorpresa della Festa

Selezionato nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma, “Allo la France” della francese Floriane Devigne è una meravigliosa sorpresa. Un documentario che parte dalla rimozione della cabine telefoniche, ritenute ormai obsolete, per allargare lo sguardo sulla deriva concreta che stiamo vivendo, dove gli Stati considerano superflui servizi essenziali….

La cosa migliore che si possa chiedere a un documentario è che ci influenzi lo sguardo. Perché nella realtà ci camminiamo ogni giorno ma non è detto che siamo sempre capaci di riconoscerne le insidie o anche semplicemente i significati. Allo la France, documentario di Floriane Devigne, ci riesce in maniera perfetta e per questo è una delle sorprese più piacevoli della Festa del Cinema di Roma.

Solo dopo aver visto il film ci siamo accorti che anche nell’Auditorium di Roma, dove dal 18 ottobre ha luogo la kermesse capitolina, esistevano delle cabine telefoniche. L’imperfetto è d’obbligo, perché mentre le cabine sono ancora lì, con i loro segnali sui muri, il telefono è stato staccato di netto.

Allo la France parte proprio dall’attenzione della sua regista per questi relitti del nostro passato prossimo, che un tempo affollavano copiose le strade e oggi sono invece una grande domanda: che cosa ne facciamo? In disuso ormai da anni, soppiantate rapidamente dalla crescita esponenziale degli smartphone individuali, le cabine telefoniche sono ora in corso di rimozione.

Inizia qui il viaggio di Devigne, che le va a cercare in giro per la Francia, recuperando scene di film e testimonianze un po’ nostalgiche di amori ed esperienze vissute in quel piccolo “spazio pubblico ad uso privato”. Lei no però, la nostalgia non ce l’ha e confessa candidamente che delle cabine in sé non le interessa poi molto.

Quel che giudica rilevante è il significato sociale e politico del gesto di rimuoverle. Un servizio pubblico che scompare, uno Stato che considera un luogo di tutti semplicemente come una spesa superflua. Per la documentarista le cabine non sono altro che la spia di una mentalità irreversibile ma a cui vale ancora la pena opporsi. Ed è difficile darle torto.

A chi vorrebbe obiettare che trarre conclusioni così radicali dal semplice smaltimento di un oggetto ormai inutile sia un po’ audace, risponde direttamente la compagnia telefonica francese. O meglio non risponde. Perché la regista cerca in tutti i modi di ottenere una mappa delle cabine ancora esistenti e riceve solo rifiuti. Prima un funzionario le promette di richiamarla in un attimo e sparisce, poi le tagliano la linea telefonica mentre ancora sta parlando da dentro la cabina.

Tutti gli interventi infatti vengono fatti al telefono. Devigne è costretta a crearsela da sola la sua mappa, controllando online tutti i luoghi in cui sembra esserci ancora una cabina. Poi puntualmente diffonde l’invito aperto a chiunque a chiamarla mentre si trova lì. Raccoglie così i pareri di tante persone diverse, da chi ha ricordi di giovinezza a chi invece prese parte alla diffusione della rete telefonica sul territorio francese.

Scopriamo così che non esiste solo la Telegraph Road dei Dire Straits, ma anche una Rue du Téléphone, che si interseca però con quella che in Francia chiamano la “diagonale du vide”, diagonale del vuoto. È tutto quel territorio che, privo di metropoli, annega nell’indifferenza totale della politica e nella mancanza o inadeguatezza di ogni servizio pubblico essenziale. Restano solo la cabina telefonica e la cassetta delle lettere, ma la prima, ormai la sappiamo, ha i giorni contati. Le poste resistono, ma viene da chiederci: non è che sopravvivono solo perché essenziali per le aziende che vendono online?

L’identikit del suo nostalgico, spiega Devigne, è il gauchista sconfitto ma non arreso. E non a caso, spiega proprio una di queste gauchiste, tra i primi a occuparsi dello smantellamento delle cabine c’è stato proprio Macron, ai tempi in cui era ancora “solo” ministro dell’economia. Più che una battaglia, che forse avrebbe un vago sapore donchisciottesco, quello delle cabine è un indizio di colpevolezza.

Il doc ha un’intuizione geniale in una breve sequenza, dove la regista si fa visitare via Skype da un medico, in una cabina adibita. È una parentesi che serve a rimarcare il concetto, un oscuro presagio della direzione che abbiamo intrapreso: rinunciare al contatto umano, al collettivo, per una solitudine totale. Forse fino al punto in cui, come qualcuno vergognosamente diceva qualche decennio fa, la società non esiste.