Streghe controvoglia, ma femministe. È “Luna Nera” su Netflix
Arriva su Netflix dal 31 gennaio l’attesa serie tutta al femminile dalla saga in tre volumi di Tiziana Triana, “Luna nera, le città perdute” (Sonzogno). Firmano questo fantasy (targato Fandango) incentrato sulla caccia alle streghe nell’Italia del XVII secolo Francesca Comencini, Susanna Nicchiarelli e Paola Randi che sottolineano la volontà di riscrivere il ruolo che spetta alle donne nella storia. Ma non tutto funziona, almeno nelle prime due puntate mostrate alla stampa …
“Donne ribelli, libere, forti, che non rientrano negli stereotipi, che non stanno un passo indietro, che non hanno un uomo accanto, e magari sono anche vecchie. Ecco, sono loro le streghe, per me la più grande utopia del nostro tempo: sfuggire alla tentazione di dominare degli uomini e sfuggire alla sottomissione da parte delle donne”.
Ci tiene Francesca Comencini alla lettura engagé di questa avventura italiana (produce Fandango) targata Netflix, in arrivo sul colosso dello streaming dal 31 gennaio. Ci tiene lei, “la capitana” di questa squadra tutta al femminile, diventata abile a destreggiarsi tra il buon buon cinema d’autrice (Mi piace lavorare, Amori che non sanno stare al mondo) e i clamori internazionali di Gomorra la serie.
Ci tengono le altre due registe Paola Randi (Into Paradise, Tito e gli alieni) e Susanna Nicchiarelli (Cosmonauta, Nico 1988) convinte anche loro dell’importanza di veicolare temi seri come “la paura del diverso, la ricerca del capro espiatorio e la persecuzione delle streghe” utilizzando il genere che permette di arrivare al grande pubblico offrendo “chiavi di riscatto alle protagoniste, come avessero dei super poteri”.
E ci tengono tanto più le sceneggiatrici (Francesca Manieri, Laura Paolucci e Vanessa Picciarelli) certe di aver fatto la loro parte in questa riscrittura della storia in chiave fantasy in cui il maggior contributo, almeno in termini di studi storiografici e ricerche, è stato offerto da Tiziana Triana, direttrice editoriale di Fandango libri, qui in veste di scrittrice con la saga in tre volumi, Luna nera, le città perdute (il primo è appena uscito per Sonzogno) che ha fatto da motore a tutta l’avventura, oltre che averle dato il titolo. Un’avventura, ribadisce anche lei, nata “per ricollocare al giusto posto quelle donne che sono state messe da parte e dar loro una sorta di rivalsa storica, attraverso la fantasia”.
Eccoci dunque nel XVII secolo tra le misere e cupe campagne laziali (Canale Mnterano, Sutri e Sorano, ma anche gli studi di Cinecittà) dove trova rifugio la giovane protagonista, Ade (Antonia Fotaras) accusata di stregoneria e ricercata dai temibili Benandanti, spietati cacciatori di streghe, oscurantisti e braccio armato della Chiesa. L’amore per il bel Pietro (Giorgio Belli), figlio del potente signore, ma al suo opposto illuminato sostenitore del credo scientifico, metterà la giovane Ade di fronte ad una scelta destinata a cambiare non solo il suo destino.
Con tanto di citazione da Ernesto De Martino (nel libro) sull’alternativa tra “magia” e “razionalità” come tema da cui è nata la civiltà moderna, Luna Nera cerca di fare la sua parte nella costruzione di un immaginario fantasy nostrano, rincorrendo “epigoni” come Il trono di spade (è lo stesso Domenico Procacci, produttore Fandango a dichiararlo). E lo fa mettendo tanta carne, forse anche troppa, sul fuoco dell’allegoria, a ricordarci – ossessivamente – come la forza delle donne sia stato il motivo della loro discriminazione.
Non aiuta poi la narrazione piena di enfasi e ridondanza, come le stesse musiche ad accompagnarla, che fanno sembrare almeno le prime due puntate presentate alla stampa, una sorta di teaser. Mentre il cast, soprattutto i due giovani protagonisti, sono perfettamente in linea con tanto cinema italiano che antepone i bei faccini alla prova d’attore. Confidiamo però nelle puntate a seguire, apprezzando l’originalità dell’operazione.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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