“La battaglia”, lo Steinbeck comunista. E il suo libro più rimosso
È “La Battaglia”, scritto dal premio Nobel tre anni prima di “Furore”. Qui Steinbeck tira in ballo un’entità fastidiosa per la memoria americana, il Partito Comunista e i suoi “agitatori”, militanti che per cercare di organizzare i braccianti, affrontavano la fame nera e i pestaggi feroci dei vigilantes. Da (ri)leggere assolutamente. Approfittando del film di James Franco nelle sale dal 7 settembre…
Certe notizie ti scaldano il cuore. Tipo: James Franco ha fatto un film da La Battaglia di Steinbeck (passato a Venezia lo scorso anno e in sala dal 7 settembre). Anche dopo due mandati di Obama fare un film da “quel”romanzo negli Usa è un atto di spericolato coraggio.
John Steinbeck è un Premio Nobel ma, ai tempi, le copie di Furore le bruciavano sulle pubbliche piazze, in barba all’appassionato sostegno di Eleanor Roosevelt.
Da allora Furore è stato “perdonato” e digerito, ma La Battaglia (“In Dubious Battle”), scritto tre anni prima, nel 1936, continua a restare una spina nel fianco. Sono convinta che senza quel Nobel provvidenziale del 1962 sarebbe sparito dai cataloghi delle case editrici americane.
Confesso di averlo scoperto solo pochi anni fa e solo dopo aver consumato le copie di tutti gli altri romanzi di Steinbeck. E forse non lo avrei mai letto se il National Steinbeck Center di Salinas, un posticino che merita un pellegrinaggio, non mi avesse allettato illustrando quel titolo con una gigantografia di scioperanti del New Deal.
Perché è uno sciopero la “battaglia incerta” del libro, che cita un verso di Milton, una “battaglia incerta nei campi del Paradiso”. Come Furore racconta i forgotten men della Grande Depressione, le carovane di contadini in miseria diventati braccianti nomadi.
Ma qui Steinbeck tira in ballo un’entità fastidiosa per la memoria americana, il Partito Comunista e i suoi “agitatori”, militanti che per cercare di organizzare i braccianti, l’ultimo gradino e il più disperato dello sfruttamento, affrontavano la fame nera e i pestaggi feroci dei vigilantes.
Gente cancellata dai libri di Storia.
La Battaglia non è un romanzo epico, non fa retorica né ideologia, lo sciopero fallisce, il “rosso” Jim Nolan… non ve lo dico, leggetelo. In fondo Furore finisce dove comincia La Battaglia, il fuggitivo Tom Joad potrebbe diventare un Jim Nolan.
La cosa incredibile però è che le prefazioni americane al romanzo, anche le più recenti, fanno i salti mortali per spiegarti che a Steinbeck i comunisti non sono mai piaciuti e che mica voleva parlare di lotta di classe, mai più ! Voleva scrivere un bildungsroman, un romanzo di formazione. Peraltro troppo cronachistico, precisano tutte all’unisono, per avere vera dignità letteraria.
È formidabile, la memoria selettiva americana. Mi viene in mente l’epurazione di un quasi-inno nazionale come This Land Is Your Land di Woody Guthrie (clicca qui per ascoltarla): dalla versione corrente sono scomparse le due strofe più conflittuali e più sociali. Steinbeck e il vecchio “hobo”si sono frequentati eccome, negli anni in cui Guthrie scriveva sulla sua chitarra “This machine kills Fascists”. Così come è disdicevole ricordare i viaggi in Unione Sovietica, in piena Guerra Fredda, di uno scrittore che, piaccia o no alla critica paludata, è una Gloria Americana.
Ecco perché James Franco, che per il cinema ha già pescato da Faulkner e da Bukowski, da Cormac Mc Carthy e da un poeta come Hart Crane, questa volta si rivela qualcosa di più e di meglio di un buon lettore. Questa volta sfida rimozioni e censure striscianti ma tenaci. Tacerà sull’appartenenza politica dei suoi “agitatori”? Difficile.
Era un sindacalista radicale, ma non dichiaratamente comunista, anche il David Carradine di un magnifico, giovanile Scorsese, America 1929- Sterminateli senza pietà. Di film così sul periodo però, tolto ovviamente Sua Maestà John Ford, se ne ricordano pochi.
Quand’ero piccola in famiglia mi affibbiarono un libercolo sovietico di “formazione”per la gioventù comunista. Il titolo era tutto un programma: Come fu temprato l’acciaio. Immagino che non conoscessero La Battaglia, e che comunque non lo avrebbero considerato educativo in quanto sconvenientemente americano. È un vero peccato. Magari avrei studiato un po’ più Roosevelt e un po’meno Marx . Ma sulla serietà della lotta di classe, sulla militanza e, perdonate, anche sulla bellezza della scrittura avrei sicuramente imparato di più.
Teresa Marchesi
Giornalista, critica cinematografica e regista. Ha seguito per 27 anni come Inviato Speciale i grandi eventi di cinema e musica per il Tg3 Rai. Come regista ha diretto due documentari, "Effedià- Sulla mia cattiva strada", su Fabrizio De André, premiato con un Nastro d'Argento speciale e "Pivano Blues", su Fernanda Pivano, presentato in selezione ufficiale alla Mostra di Venezia e premiato come miglior film dalla Giuria del Biografilm Festival.
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