Le tre vite di Magnus, lo Sconosciuto del fumetto italiano

Nel ventennale della scomparsa del celebre disegnatore un film, una mostra e un libro per ricordarlo. La sua matita ha dato vita a “Kriminal”, “Satanik”, “Alan Ford” fino al suo più celebre personaggio che si nasconde, programmaticamente, dietro lo stesso nome…

4.Foto di scena1C’è un film in giro che è un’occasione da non perdere per conoscere e capire Magnus, al secolo Roberto Raviola (1939-1996), uno dei maestri del fumetto italiano. S’intitola Ho conosciuto Magnus, di Paolo “Fiore” Angelini, e l’ha prodotto la Abc di Bologna.

Proiettato in anteprima nel capoluogo emiliano è ora in cerca di partecipazioni in qualche festival e di un’auspicabile distribuzione. Il film fa parte di un ampio e meritorio progetto promosso dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, in occasione del prossimo ventennale della morte del grande disegnatore, che comprende una mostra, “Magnus e l’altrove. Favole Oriente Leggende”, curata da Luca Baldazzi e Michele Masini (in corso a Bologna, città natale di Magnus, fino al 6 gennaio 2016); e un libro, Magnus prima di Magnus. Gli anni dell’apprendistato di un maestro del fumetto (Alessandro Editore).

Magnus-bozza-cover2Il film di Paolo Angelini è una sfida fin dal titolo, da quel «ho conosciuto» riferito a un autore che per uno dei suoi personaggi a fumetti più noti scelse il nome di Unknow (senza la N in fondo), ma che suona come lo Sconosciuto. Quasi una programmatica dichiarazione d’inconoscibilità di un uomo perennemente alla ricerca di una meta – non a caso, per un periodo, firmò le sue tavole con l’esagramma cinese che significa il Viandante – e insofferente al fermarsi, a dimorare troppo nei suoi personaggi.
Magnus passò così dalla notorietà e dal successo ottenuti, a partire dal 1964, con i fumetti neri Kriminal, Satanik e, soprattutto, con l’esilarante saga di Alan Ford (in collaborazione con Max Bunker, ancora un nom de plume per Luciano Secchi) alla svolta, dieci anni dopo, proprio con Lo Sconosciuto, protagonista un antieroe che attraversa storie di piombo e sangue e una Storia piena di conflitti e violenza: una dozzina di avventure che segnarono una sua evoluzione personale e un salto nel fumetto d’autore italiano. E, ancora non placato ma sempre in viaggio, per arrivare alle sue prove più mature, I briganti, Le 110 pillole, Le femmine incantate e La valle del terrore, lo speciale di Tex che gli costò sette anni di lavoro.
Il film attraversa queste tre fasi della sua vita, ma non aspettatevi un documentario per «addetti ai lavori», per fumettisti e fumettari, che sforna dettagli sulle tecniche e sugli stili, via via adottati da Magnus – anche se la sua opera, pure multiforme e continuamente spiazzante, mostra una straordinaria continuità basata soprattutto sul rigore documentario e sulla maniacale precisione.

Paolo Angelini, infatti, più che al segno, si dedica allo spirito che sostenne la vita e le opere di Magnus. E lo fa attraverso tante testimonianze di amici, familiari e collaboratori che quella vita affiancarono: dalla seconda moglie Margherita (da cui ebbe due figli) a uno dei suoi più stretti collaboratori, il disegnatore Giovanni Romanini, a Luca Baldazzi (giornalista e studioso di fumetti) che del film è un po’ il protagonista-guida di un viaggio alla ricerca del vero Magnus.
Il viaggio parte con la voce fuori campo che legge una mini-autobiografia di Magnus – voce scandita dall’inquadratura delle tavole autografe – che l’autore realizzò per autopresentarsi in occasione di un festival di Annecy (una dei più importanti appuntamenti del fumetto europeo). E parte dalla riunione, attorno a un tavolo, di Romanini, Baldazzi e Margherita Fantuzzi Raviola che ragionano sul come organizzare la mostra.

3.LocandinaNe viene fuori l’idea di dividere il percorso nelle tre fasi di cui si è accennato. È una mappa, questa, che il regista traccerà con grande sensibilità, mostrando le tavole delle opere di Magnus, rilette in truka e doppiate da belle voci di attori (un po’ come avvenne nelle mitiche trasmissioni tv Gulp! e SuperGulp!). E alternandole con testimonianze quasi sempre ambientate nei luoghi vissuti da Magnus: dalla celeberrima Osteria del Sole (con un affettuoso e conviviale dialogo tra esperti di fumetto: Luca Baldazzi, Andrea Plazzi e Giulio Cesare Cuccolini) all’Accademia di Belle Arti bolognese, dalle case in cui ha vissuto ai panorami «western» dell’Appennino bolognese, nella Valle del Santerno, nei pressi di Castel del Rio, dove si autoesiliò per i sette lunghi anni che lo impegnarono nella realizzazione della storia di Tex: un western corrusco, disegnato, come se le tavole fossero delle incisioni, con certosina manualità.
Non solo luoghi, atmosfere, cibi, vino e fumo di sigarette ma persone, rievocando, con grande tatto, il privato di Magnus (che, curiosamente, non appare mai, neanche in fotografia), i suoi amori – anche questi tre, uno per ogni periodo della sua vita-lavoro.

Già, il lavoro: che per lui era il disegno, perché Magnus, come più volte dichiarò era «pazzo per il disegno». Così come lo era stato uno dei suoi riferimenti artistici principali, il grande pittore e incisore giapponese Hokusai. Già, la sua vita: che – è ancora Magnus a dirlo – «è come una bistecca che brucia… dovevo rivoltarla».

La rivolterà più volte, come si è visto, mai perdendo però la possibilità di «sognare e poi sognare ancora… ancora… ancora», fino alla fine, quando il «killer che aveva nello stomaco e che non perdona» se l’è portato via. Il finale del film si svolge sulla tomba di Magnus, pulita e accudita amorevolmente dalla moglie Margherita, mentre Giovanni Romanini disegna la scena su un taccuino; e sullo sfondo fa apparire uno Sconosciuto che si affaccia da un arco. Che sia proprio lui, Magnus?