Se Fellini, Malle e Vadim rileggono Allan Poe

Esce in dvd “Tre passi nel delirio” mitico e dimenticato film a episodi del 1968. Le atmosfere dense di inquietudini, tipiche dello scrittore americano, offrono ispirazione ai tre grandi autori per una personalissima lettura. Ma la vera perla è “Toby Dammit” con Terence Stamp …

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Se la paura fa 90, il delirio fa 100: quanti sono i titoli della collana di Dvd «Il piacere del cinema» (Teodora Film – Flamingo Video), curata da Vieri Razzini, che festeggia, appunto, il centesimo numero con l’uscita di Tre passi nel delirio, mitico e dimenticato film a episodi firmati da Roger Vadim, Louis Malle e Federico Fellini, ispirati a tre celebri racconti di Edgar Allan Poe. Degna scelta per una preziosa collezione che allinea capolavori assoluti, film dimenticati e chicche da cineteca di artisti del calibro di Renoir, Ophuls, Siegel, Welles, Lubitsch, Huston, Hawks, Ford, Lang, Wyler e molti altri.

Il film, del 1968, è una coproduzione Francia/Italia ed è uno degli esempi più felici di film a episodi, «meccanismo» produttivo e narrativo frequente e di successo in quegli anni (dalle classiche antologie «all’italiana» come I Mostri di Dino Risi del 1963 a prove d’autore come Rogopag, ancora del 1963, registi Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti). In questo caso, unificante è l’ispirazione ai racconti di Poe, anche se la «fedeltà» ai testi è del tutto libera e a prevalere sono il senso di mistero e le atmosfere dense di inquietudini e incubi tipiche dello scrittore americano. Che i tre registi piegano – con esiti anche molto diversi – alle loro ossessioni e poetiche.

Cover%20DvdIn Metzengerstein di Roger Vadim, protagonista è la Contessa Frederica Metzengerstein (Jane Fonda), una sorta di Caligola in gonnella che vive tra eccessi, dissolutezze e crudeltà. Respinta dal cugino Barone Wilhelm (Peter Fonda) della casata avversa dei Belifitzing, ne provoca la morte facendo incendiare il castello dove vive. Unico superstite sarà un cavallo nero che Frederica domerà e al quale si legherà con un rapporto quasi morboso (sì, proprio come si narra di Caligola); destriero che alla fine si rivelerà essere la reincarnazione dello spirito di Wilhelm in cerca di vendetta.

Vieri Razzini – nel commento al film, un extra che accompagna sempre i dvd della collana – sorvola diplomaticamente sulle qualità registiche di Vadim e fa cenno soltanto alla bellezza dei costumi. Effettivamente l’episodio è poco più di una sfolgorante sfilata di abiti indossati dall’altrettanto sfolgorante bellezza e avvenenza di Jane Fonda (fu una delle cinque mogli del regista). Un abito a ogni cambiamento di scena, indossato o svestito dalla protagonista e dalle tante comparse che affollano le orge glamour e pop, trastulli quotidiani alla corte di Frederica.

William Wilson di Louis Malle affronta il tema del doppio e della coscienza. È quella di un ufficiale bello e azzimato (Alain Delon) quanto cinico e sadico, che se la deve vedere con un sosia che ha il suo stesso nome e cognome (la sua parte buona) e che compare ogni volta che il vero (?) William Wilson sta per commettere un’azione turpe o disonesta: dalla tortura di un compagno di scuola alla dissezione anatomica di una ragazza viva. La catarsi finale è affidata a un duello tra i due e la sorpresa sarà scoprire chi lo vincerà. Anche in questo caso la bellezza la fa da padrona: quella di Delon e quella di Brigitte Bardot (curiosamente un’altra moglie di Roger Vadim) che affronterà Delon in un altro tesissimo duello, questa volta a carte, che la mano di Louis Malle trasforma in un pezzo di bravura di due star assolute del cinema.

Ma la perla preziosa di Tre passi nel delirio è rappresentata da Toby Dammit, (il titolo originale del racconto di Poe è Non scommette mai la testa col diavolo) firmato da Federico Fellini. Un attore alcolizzato (Terence Stamp: nello stesso anno, il 1968, lavorò anche in Teorema di Pasolini) viene a Roma per girare un film, il primo «western cattolico… tra Dreyer, Pasolini e Ford» lo definirà ironicamente un personaggio dell’episodio. Ma fin dal suo arrivo a Fiumicino (un preveggente e caotico serraglio di razze e etnie, fotografato in un livido arancione da Giuseppe Rotunno), l’attore è perseguitato dalla fantasmatica apparizione di una bambina vestita di bianco che gioca con una palla bianca. Tra l’altro sembra che Fellini citasse letteralmente l’inquietante creatura prendendola dal film di Mario Bava Operazione paura (1966). Fu lo stesso Bava – secondo quanto riportano alcune cronache – a dichiarare: «È la stessa del mio film, l’ho detto a Giulietta Masina e lei ha alzato le spalle con un sorriso e mi ha detto, sai com’è Federico…». L’ossessione accompagnerà il protagonista anche nella folle corsa notturna a bordo di una Ferrari (premio per la sua partecipazione al film da girare) che si concluderà tragicamente.
Fellini usa l’episodio per compilare un campionario del suo cinema e delle sue visioni, soprattutto quelle a venire. Dalle scene della bolgia infernale del Grande Raccordo Anulare che svilupperà in Roma (1972), qui anticipate tra flash di incidenti, capannoni industriali, camion che trasportano quarti di bue (sembra preso da un quadro di Bacon); alla passerella di bizzarri personaggi dello spettacolo (c’è un velato omaggio anche a Totò) e alla sfilata di fantastici abiti e costumi disegnati da Piero Tosi (tra La dolce vita (1960), 8 e1/2 e la celebre sfilata di abiti talari in Roma. Così come gli squarci di paesaggi dei dintorni dei Castelli romani, abbagliati dai fari della Ferrari impazzita di Toby Dammit.
Davvero tre deliri dell’anima e dello sguardo del cinema, concentrati in 116 minuti e in un dvd da vedere e rivedere.