A cena con Margaret Atwood. L’irresistibile ironia di un’ottantenne di successo, nel doc del Biografilm
È “A word after a word after a word is power“ il doc di Nancy Lang e Peter Raymont presentato in anteprima italiana al BiografilmFest. Un racconto molto intimo, quasi una cena tra amici alla tavola della grande scrittrice canadese Margaret Atwood. Dall’infanzia in Québec alla notorietà internazionale, iniziata ben prima del successo planetario di “The Handmaid’s Tale”. Una vita spesa sempre con un occhio critico sul presente e la voglia di ridere di tutto…
La prima cosa che colpisce di Margaret Atwood è l’umorismo. Il suo istinto davanti a una domanda è sempre quello di rispondere con ironia per poi ridere alla sua stessa battuta. Perlomeno è così in quasi tutti gli stralci delle interviste che compongono A word after a word after a word is power (“Una parola dopo una parola dopo una parola è potere”), il doc di Nancy Lang e Peter Raymont sulla scrittrice e poetessa canadese, presentato in anteprima italiana al BiografimFest che si sta tenendo via streaming.
Può sembrare un aspetto banale, ma dall’autrice de Il racconto dell’ancella, l’amarissima distopia sulla dittatura religiosa che riduce le donne a macchine da figli, tutto ci si potrebbe aspettare meno che battute a iosa. Invece Peggy (così la chiamano amici e famigliari) è così, anzi una sua collaboratrice assicura che quando scrive la si sente sghignazzare da sola alle sue stesse battute per tutta la casa.
Il documentario è una vera e propria intrusione nella vita di Atwood, seppure ben accolta sia da lei che da tutti gli altri intervistati. A parlare sono, oltre ovviamente alla protagonista, le persone davvero più intime: il fratello, il primo marito, il secondo, la figlia, l’amico di una vita, la sua agente. Si ripercorre quindi la sua storia in ordine cronologico («Qual è il tuo primo ricordo?» è la prima domanda, «Non buttiamola sul lato psicologico» è la risposta).
Ai ricordi si affiancano le fotografie e i brani dei libri pubblicati man mano. D’altronde la vita di Atwood è decisamente avventurosa: inizia nelle foreste del Québec, al seguito del padre entomologo, e va avanti fino al giro del mondo per conferenze. La scrittura procede di pari passo. Per Peggy la vita e la produzione letteraria sono due corsie della stessa strada, vanno sempre nella stessa direzione. Anche se lei spiega: «ci sono cose della vita personale che non devono entrare nella scrittura, io passo moltissimo tempo a raccogliere piante ma se ne parlassi in un libro nella stessa misura rimarreste molto annoiati».
La carriera letteraria inizia a sette anni, con un romanzo su una formica («non fu un grande successo», scherza lei), poi vira sulla poesia («la mia teoria è che appartenga a un’altra parte del cervello rispetto alla prosa»), la prima vera pubblicazione, The circle game, ottiene il prestigioso Premio del Governatore Generale. È il primo riflettore che si accende su di lei.
Il documentario non vuole andare molto al di là della vera e propria biografia, anzi sembra essere una vera e propria biografia per immagini, la complicità tra gli intervistati rende il tutto estremamente intimo. Non sono i due registi a dare il taglio, ma le risposte che ottengono, con il risultato per lo spettatore di ritrovarsi ad assistere quasi a una cena tra amici.
Persino le battaglie politiche sembrano racchiudersi in un’ottica familiare, sia il femminismo (ricorda la traumatica visione di Scarpette rosse di Powell e Pressburger, «il finale sembra dire: se una donna sceglie una carriera finirà male») che l’ambientalismo entrano a far parte della sua letteratura perché non sono mere bandiere politiche ma una caratteristica tangibile della sua persona.
Infine, ovviamente, si concentra sul successo più grande, Il racconto dell’ancella e la fortunata serie che ne è stata tratta. «Bisogna dire chiaramente che è frutto del lavoro di altre persone, non mio». Atwood sembra separare l’adattamento dal libro ed è una visione atipica per un’autrice, «era lei a spronarci a cambiare alcune cose», racconta lo sceneggiatore. Per lei questo lavoro nasce da Huxley e Orwell, dal fatto che le grandi distopie fossero sempre state incentrate su uomini e soprattutto da un’ispirazione reale e verissima. Ma è ancora una volta una visione estremamente personale, mentre la serie non le appartiene, pur avendola ispirata (interpretando tra l’altro un piccolo cameo).
La commovente conclusione del documentario riguarda il rapporto col marito, Graeme Gibson, anche lui scrittore. L’intimità del documentario carica di maggiore emozione le immagini dei due dediti al birdwatching, che camminano insieme su una nave o a una fiera. Atwood è minuta mentre lui è un gigante, ma lei lo sostiene, lo aiuta, lo coinvolge e rende meno dura la lotta contro la demenza senile. L’ultima immagine li riprende al tramonto sulla spiaggia e si chiude con la dedica a Gibson, scomparso nel 2019.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
30 Marzo 2018
“L’altra Grace”, tutti i peccati del puritanesimo. Nella serie (femminista) da Margaret Atwood
"L'altra Grace" in onda su Netflix, dall'omonimo romanzo di Margaret Atwood,…
27 Aprile 2016
Con Calopresti e Capuano le master class del Solinas
Nuovo appuntamento con i film e gli autori nati dalla fucina dello storico…