Addio Bertrand Tavernier. Lo sguardo letterario del cinema francese che amava gli americani

È morto a 79 anni Bertrand Tavernier, regista, sceneggiatore, critico e produttore francese. Cinefilo, militante, amante della letteratutra (suo padre era uno scrittore) e del cinema americano dei ’40 e ’50, ha raggiunto il successo con i film interpretati da Philippe Noiret. Ha portato al cinema i romanzi di Georges Simenon (“L’orologiaio di Saint-Paul” il suo esordio), Jim Thompson (“Colpo di spugna”) Madame de La Fayette (“La Princesse de Montpensier “), David G. Compton (“La morte in diretta”), Pierre Bost (“Una domenica in campagna”) e tanti altri. Tra i suoi film più famosi anche “Mississippi blues” e “A mezzanotte circa” …

Si è spento a 79 anni a Saint-Maxime, sulla Costa Azzurra, l’eclettico e anticonformista regista francese Bertrand Tavernier. Eclettico, o meglio “vorace”, come viene ricordato sulle pagine di Le Monde.

Amante del cinema, della letteratura e della buona cucina, Tavernier è originario di Lione (25 aprile 1941), città a cui rimarrà sempre fedele, presiedendo fino agli ultimi anni l’Institut Lumière, facendolo divenire una delle istituzioni più autorevoli del panorama nazionale. Proprio a Lione gira la sua prima pellicola L’orologiaio di Saint-Paul (1974), spostando dagli Stati Uniti al luogo natale l’ambientazione del romanzo di Georges Simenon a cui si ispira, L’orologiaio di Everton. Il film si afferma subito come un successo, vincendo l’Orso d’argento al festival di Berlino e il Premio Louis-Delluc.

Già da questa opera prima, con Philippe Noiret irresistibile protagonista, che diventerà il suo attore feticcio, emerge quella che sarà una tematica ricorrente in tutto il suo cinema: il delicato e conflittuale rapporto padre-figlio, affrontato via via da Una domenica in campagna (1984), Daddy nostalgia (1990) fino ad arrivare a La Princesse de Montpensier (2010) rilettura de La Princesse de Clèves, classico della letteratura francese di Madame de La Fayette. Figura paterna con la quale fare i conti, del resto, è stata quella di papà René Tavernier: scrittore e critico letterario che durante l’Occupazione nazista fondò la rivista Confluences, intorno alla quale si riunirono autori del calibro di Paul Eluard e Louis Aragon.

Un padre dal quale il regista francese eredita la militanza, ma dal quale sentirà di dover prendere presto le distanze – sia politicamente che artisticamente – nutrendosi di altre passioni, come il jazz e il blues, che lo porteranno alla realizzazione di opere come Mississippi blues (1983) e A mezzanotte circa (1986), vincitore, tra l’altro, dell’Oscar per la colonna sonora. Ma è soprattutto il cinema ad essere concepito come “un modo inconscio per separarsi dal padre e  guadagnarsi un proprio regno”. Un’autonomia conquistata che lo ha portato a verso una sinistra più radicale – rispetto al padre gollista -, denunciando le torture durante la guerra d’Algeria, difendendo la legalizzazione dei clandestini, combattendo il Front National e raccontando il complesso problema delle periferie.

Studente della Sorbonne a Parigi, frequenta la cineteca, dove fonda – insieme al programmatore Bernard Martinand e il poeta Yves Martin – il cineclub Nickelodéon, in cui cerca di “riabilitare” il cinema americano degli anni ’40 e ’50, prendendo dunque una strada differente rispetto a quella intrapresa da Truffaut, Godard, Rivette e Rohmer avversi al cosiddetto “cinéma de papà”. “Odio quell’espressione – ribadirà nel 2019 alla Festa del Cinema di Roma–. Io parlo dei registi che non sono stati riconosciuti dal cinema francese, e lo trovo un modo di dire imbecille. Diremmo mai che Balzac o Stendhal sono autori ‘di papà’? (…) Io sono stato un grande sostenitore della Nouvelle Vague, ma non penso che chi l’ha preceduta meriti una stampella per l’ospizio”.

Sarà lui stesso critico cinematografico, scrivendo prima per il giornale studentesco L’Etrave, poi per Les lettres françaises, Les Cahiers du cinéma e Positif, a promuovere instancabilmente i film dimenticati dalla critica. Sceneggiatore per Riccardo Freda e Jean Leduc, è stato anche un grande amante del cinema italiano, di quella “verità umana straordinaria” portata sul grande schermo da Risi, Monicelli, Comenicini e Scola.

La passione giovanile per la lettura, già venuta alla luce col suo esordio nel segno di Simenon, tornerà a fare capolino nella sua intera opera. Nell’80 porta infatti sul grande schermo The Unsleeping Eye del britannico David G. Compton, realizzando La morte in diretta, incentrato sull’agghiacciante idea di un produttore televisivo di mostrare la morte in diretta di una modella malata di cancro per vincere la corsa all’audience.

L’anno seguente, nell’acclamato Colpo di spugna (nelle foto), cala invece la vicenda del romanzo Pop. 1280 di Jim Thompson – originariamente ambientata in Texas – nel contesto di una Francia coloniale simile a quella dipinta da Céline in Viaggio al termine della notte. Nell’ ’84 l’interesse letterario gli vale la Palma d’oro a Cannes per Una domenica in campagna – adattamento dal romanzo breve di Pierre Bost, M. Ladmiral va bientôt mourir, sulla vita di campagna di un anziano pittore -, e nel ’95 l’Orso d’oro a Berlino per il poliziesco L’esca, tratto da L’appât di Morgan Sportès, basato a sua volta sulla ricostruzione di due omicidi realmente perpetrati a Parigi.

Negli anni successivi seguiranno Capitan Conan (1996), dall’omonimo romanzo di Roger Vercel, ambientato durante la prima guerra mondiale, e L’occhio del ciclone – In the Electric Mist (2009), dal romanzo di James Lee Burke, un thriller ambientato in Louisiana dopo il passaggio dell’Uragano Katrina.

Il suo ultimo film, I segreti del Quai d’Orsay (2013), è infine tratto dall’omonimo fumetto di Abel Lanzac (pseudonimo di Antonin Baudry, membro di gabinetto di de Villepin al ministero degli Esteri) e del disegnatore Christophe Blain: una satira corrosiva del mondo della politica, condotta con toni da commedia di Molière.

Scrittore, infine, lo è stato lui stesso, traducendo il suo amore per la settima arte in titoli come Le Cinéma dans le sang, o Amis américains, monumentale opera che riunisce le interviste realizzate in mezzo secolo da Tavernier a grandi nomi di Hollywood come John Huston, Elia Kazan e Robert Altman. “Con i suoi articoli appassionanti e i suoi libri insostituibili, ha contribuito a cementare il nostro amore per il cinema americano”, ricordano il Presidente, il Consiglio di amministrazione e il Direttore della Mostra del Cinema di Venezia. Una battaglia per la conoscenza e la divulgazione del cinema che ha accompagnato Tavernier dalla giovinezza fino agli ultimi giorni.