Addio Giggiaccio, ci hai regalato un banchetto lungo mezzo secolo. Aperto a tutti

È scomparso all’alba del 2 novembre, giorno dei suoi 80 anni, Gigi Proietti. Nella sua lunghissima carriera di oltre cinquant’anni è stato mattatore a teatro, al cnema, in tv, alla radio e anche dietro le quinte, nel doppiaggio. Un mondo di spettacolo il suo in cui ha permesso a tutti di entrare …

“Oh come è bello sentirsi profondamente intelligenti”, cantava “Gigiaccio”, come lo chiamava Fellini, mettendo in musica gli aforismi di Flaiano. E sì perché cominciò da crooner, appena ventenne, frequentando gli artisti che rendevano la vita a Roma, oltre che “dolce” anche piuttosto comica: Ercole Patti, Luigi Malerba e Ennio Flaiano, appunto.

Ed ora che se n’è andato, avrebbe compiuto 80 anni proprio in questo 2 novembre, agli occhi della mente ci balza il rotear delle sue mani e le tante declinazioni della sua voce, la sua maestria, i sonetti scritti in romanesco, il suo teatro, l’avere consentito a tutti di esservi ammessi, anche a coloro che mai avrebbero potuto frequentarlo, recitando anche in piazza, sotto i tendoni, in luoghi diversi e tanti.

E ripenso alle sue frequentazioni, ripenso al banchetto lungo mezzo secolo che questo geniale attore, poliedrico e mattatore in tutti i campi, teatro (dall’avanguardia a Shakespeare, al popolarissimo A me gli occhi please), cinema (con Petri, Citti, Monicelli, Magni e  l’ultimissimo, Mangiafuoco nel Pinocchio di Garrone) televisione (il Sandokan sperimentale di Gregoretti), musica, cabaret e anche nel doppiaggio (indimenticabile Casanova felliniano), ha saputo approntare per tutti noi e che oggi lo consegna all’eternità.

E mi viene in mente che nel Convivio Dante appunto seppe dirci che in definitiva essere un AUTORE non è altro che sapere declinare in ogni modo possibile le quotidiane a tutti noi non estranee AEIOU e che sempre, ogni volta che incontravo Gigi Proietti la sua arte, i suoi monologhi, mi veniva fatto di pensare a che sapiente, ben miscelato piatto di pietanze, a che banchetto questo attore era capace di stare apparecchiando per noi.

Ci voleva a far ciò anche l’avere saputo compitare sulle dita, come appunto solo i bambini sono capaci di fare, i nostri inciampi, le nostre soste, le nostre fragilità, con umiltà e sapienza essere capace di ogni possibile combinazione di quelle note anche esse musicali che sono le cinque vocali e saperle accompagnare con le possenti consonanti, di esse rivelando anche le protervie e le ingiustizie con feroce ironia, tutta la nostra fatica del vivere e qualche ubriacatura.

Ero ragazza le prime volte che lo vidi in tv, in uno sketch in cui un ubriaco che non ritrovava la porta di casa, girando in tondo e scorgendo solo un muro intorno alla casa, alludeva al Muro Torto, storia casalinga commista a storia con la S maiuscola.

Gigi Proietti ha saputo essere tanti, ha diretto, forgiato, insegnato. Del teatro, di cui ha appreso subito la grande lezione di Ettore Petrolini, conosceva ogni piega, ogni fatica, ogni onore. L’underground della sua prima scuola di teatro, cui per accedervi bisognava fare una discesa ripida da un garage, come ricordano i tanti allievi che ha forgiato, un Genio della Lampada cui pure prestò la voce nel film della Disney, che ha illuminato per noi tanta parte di noi stessi, sempre con umiltà, senza protervia, consonando con tutti noi e quindi disvelandoci a noi stessi.

Altri, molti altri stanno oggi scrivendo di lui, delle tante vivande di questo banchetto di cui abbiamo goduto in questo lungo e tanto breve mezzo secolo; che lo dicano certo i giornali ma anche i critici, che quel suo compitar aveva anche dell’esattezza matematica, che è stato davvero un grande.

Voglio dedicargli con gratitudine oggi in memoria alcuni versi tratti dalla raccolta I muri di Vladimir Holan, nella traduzione di Angelo Maria Ripellino che tanto presto ci lasciò: “Autunno… Forse l’ultimo / con l’ultima mela dell’albero della conoscenza …/ Ecco il tempo in cui non si può attendere / che il colore migliori, che il quadro si asciughi…/ Tutto ciò che appare sul muro / macchiato di salnitro, sul muro /così cadente che quasi non c’è più…”.

La poesia da cui sono tratti questi versi ha titolo La fine?. Questo punto interrogativo ci invita a dire che per artisti di tal fatta resterà sempre memoria, la nostra oggi e dei tanti che verranno. E ad auspicare che oltre che intitolargli un Teatro, magari il suo Brancaccio, intitolargli anche un Muro presso il quale attendere tutti noi che “il colore migliori…”.