Addio Maurizio Scaparro, l’ultimo grande del teatro di utopia. Passato anche dal cinema

È morto a Roma a 91 anni Maurizio Scaparro, grande protagonista della scena teatrale del Novecento, ed ultimo rappresentante del gruppo di cui fu capostipite Giorgio Strehler. Dai classici del palcoscenico, alla messa in scena dei romanzi della Yourcenar e Camus, al rilancio del Carnevale di Venezia. Un grande maestro di cerimonie che ha percorso anche la strada del cinema. La camera ardente domenica 19 febbraio al Teatro Argentina di Roma …

 

È stato l’ultimo grande personaggio di quel gruppo, di cui fu capostipite Giorgio Strehler col Piccolo di Milano, che, nel dopoguerra, fece nascere il teatro pubblico e la moderna regia in Italia, portando i propri spettacoli in giro per l’Europa e per il mondo, sicuri che la cultura e il fascino del teatro potessero essere uno strumento centrale per la crescita del paese.

È morto il 17 febbraio a 91 anni Maurizio Scaparro, grande regista e critico teatrale (ha cominciato su l’Avanti di cui ha seguito la fondazione), direttore di alcuni tra i più importanti palcoscenici italiani (gli stabili di Bologna, Bolzano, Roma, l’Olimpico di Vicenza) della Biennale Teatro di Venezia, senza dimenticare a Parigi la direzione del Théâtre des Italiens, ma anche quella di  directeur adjoint del Théâtre de l’Europe al fianco di Strehler, e quella della sezione spettacoli dell’Expò di Siviglia del 1992, nonché grande maestro di cerimonia del rinnovato Carnevale di Venezia.
Nato a Roma il 2 settembre 1932, città amatissima (il suo desiderio, diceva, era “avere sempre una finestra su Roma e una porta aperta sull’Europa”) Maurizio Scaparro rivela da subito la sua cifra stilistica impegnata – come tutti i registi della sua generazione – prediligendo personaggi per certi versi scomodi perché sognatori, capaci di vivere un’utopia, che è anche un modo per dire no alla realtà e insieme la voglia di cercare e costruire un futuro diverso.
Ecco dunque lo spettacolo per il ventennale della Resistenza Festa grande di Aprile di Franco Antonicelli nel 1964 con cui inizia anche la collaborazione con lo scenografo di una vita Roberto Francia; poi l’anno dopo al Festival di Spoleto la riscoperta di una donna libera e intraprendente come la Venexiana di anonimo cinquecentesco, riproposta più volte nel tempo e portata anche in America, proseguendo negli anni con l’ottocentesco bandito Stefano Pelloni detto il Passatore.
L’approdo, poi, ai grandi testi classici, da Don Giovanni sia ”raccontato dai comici dell’arte” sia quello di Mozart all’opera; Amleto che segna l’inizio del lungo sodalizio con Pino Micol con cui nascono Cirano di Bergerac, Don Chisciotte con cui coglie rabbia e voglia di nuovo nei primi anni Settanta.
I grandi romanzi del Novecento: Caligola di Albert Camus (1983); Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello (1986); le riflessioni politiche delle intense Memorie di Adriano dalla Yourcenar che dal 1989 diventerà cavallo di battaglia di Giorgio Albertazzi e oggi di Micol, con in mezzo lo sberleffo poetico e popolare dei due Pulcinella di Santanelli-Rossellini con Massimo Ranieri, diventato nel 2009 anche un film.
Il passaggio dalle tavole del palcoscenico al cinema ha caratterizzato, del resto, titoli importanti dell’opera di Scaparro. Tra tutti, sicuramente il suo esordio dietro alla macchina da presa, nel 1983, con la versione per il cinema e la tv di Don Chisciotte. Una  rilettura del tutto originale del classico di Miguel Cervantes in cui  affianca il gruppo teatrale catalano dei Comediants col Teatro dei Pupi siciliani, insieme a un grande Pino Micol protagonista. Un’opera “anticipatrice della multimedialità”, come sottolinea Roberto Cicutto, presidente della Biennale e allora produttore, ricordando Scaparro:  “Un’esperienza – dice – che mi ha insegnato come il rispetto umano per i collaboratori e per gli artisti fosse per lui un elemento essenziale del processo creativo. Gliene sarò sempre grato”.
Tra le sue altre regie televisve ricordiamo ancora i film tv su Rocco Scotellaro (1979), poeta e attivista socialista che ha pagato col carcere la sua militanza, e Il caso Pinedus (1972) storia di una persecuzione giudiziaria ai danni di un giornalista di sinistra, dalla pièce del ’55 di Paolo Levi.
Del resto l’utopia, la passione e l’amore per il regista romano seono sempre stati il filo conduttore della sua lunga esistenza. Come gli piaceva ripetere, citando una battuta del Caligola di Camus: ”L’assenza di amore genera mostri”.
La camera ardente sarà domenica 19 febbraio al teatro Argentina di Roma.