All’Origine del razzismo ma l’amore può risolvere tutto. Ava DuVernay porta in Mostra la Pulitzer afroamericana

Passato in concorso “Origin” della regista Ava DuVernay, la prima autrice afroamericana in concorso alla Mostra. La storia prende spunto da un saggio: l’omonimo bestseller della scrittrice Pulitzer Isabel Wilkerson, a sua volta prima scrittrice ad aver ottenuto il prestigioso premio giornalistico. La tesi: il legame tra il razzismo in America, nella Germania hitleriana e in India, affermando che il minimo comune denominatore è una gerarchia sociale basata sulle caste. Superabile semplicemente amando il prossimo. Almeno così ce la racconta la regista nel suo film dalla confezione mainstream e buono soprattutto per i palati americani …

Caste: The Origins of Our Discontents è un bestseller della scrittrice Pulitzer Isabel Wilkerson che nel 2020 ha fatto parecchio scalpore negli Usa. Wilkerson è stata la prima autrice afroamericana a ottenere il Pulitzer, e nel suo secondo saggio affronta in parallelo il fenomeno del razzismo in America, nella Germania hitleriana e in India, affermando che il minimo comune denominatore è una gerarchia sociale basata sulle caste. Può venire o meno voglia di leggere il libro vedendo Origin di Ava DuVernay, già regista di Selma – La strada verso la libertà. In realtà è superfluo, perché il film in concorso a Venezia è praticamente un audiolibro illustrato.

Ava DuVernay si è così innamorata del testo e delle sue tesi che ne regala pagine e pagine in voice-off, ricostruendo anche la genesi e la travagliata ricerca di argomenti a supporto, in parallelo con i lutti subiti dalla scrittrice nel corso della gestazione: marito, madre e cugina sono morti in rapida successione. Wilkerson è interpretata da Aunjanue Ellis-Taylor, che in King Richard era la moglie di Will Smith.

In qualche modo Caste, il libro, vuole scavare sulle origini (appunto) del razzismo e sui suoi elementi costitutivi, che in Paesi non edificati sullo schiavismo prescindeva dal colore della pelle. Gli ebrei dello sterminio avevano la pelle chiara, e gli “intoccabili” Dalit, in India, sono il gradino più infimo della scala sociale, condannati a pulire gli escrementi a mani nude, ma hanno lo stesso colore dei Bramini.

Il film è lungo, 130 minuti, ma sembra durare il doppio. Di buono c’è il ripasso delle Leggi Jim Crow, che hanno ispirato i cervelloni nazisti, di molti episodi e indagini che hanno segnato la storia dei diritti civili nell’ultimo secolo, nonché degli interrogativi che pongono i poderosi rigurgiti neonazisti americani.

Spero che la confezione mainstream renda utile il film dall’altra parte dell’Atlantico, perché il saggio è stato acclamato come un nuovo classico. E va segnalato che DuVernay è la prima regista afroamericana in corsa per il Leone d’oro. Ma non lo vincerà. Nel cast anche Jon Bernthal, Vera Formiga e Niecy Nash, preziosa cugina-sorella di Isabel. Tutti bravi.

Cercasi ancora una candidata sicura per la Coppa Volpi femminile. Dicono i bene informati che la nostra Alba Rohrwacher di Hors-saison, che porta in coda al concorso l’arte di Stéphane Brizé, avrebbe le carte in regola.

Fonte Huffingthon Post