Anche gli imperatori piangono (per amore). Ma il Napoleone di Ridley Scott fa (anche) un po’ ridere


Dal 23 novembre in sala (per Eagle Pictures) “Napoleon” di Ridley Scott che, a distanza di quasi cinquant’anni dal capolavoro “I duellanti”, torna ad immergersi nell’universo napoleonico offrendo i panni dell’Imperatore a Joaquin Phoenix. Un biopic bifronte, da una parte la Storia (ridotta a Bignami) e dall’altra i tormenti d’amore per la (fedifraga) Josephine (Vanessa Kirby), che lascia nello spettatore una lunga scia di perplessità …

Capita spesso di uscire da una proiezione e provare una sorta di scoramento misto a incredulità.
 È capitato e ricapiterà. Stavolta è Ridley Scott a sollevare nello spettatore più di una perplessità.
 Della lunga filmografia di Ridley Scott è imprescindibile portare rispetto per il considerevole numero di capolavori. Solo I duellanti, Alien e Blade Runner, basterebbero per riconoscergli il diritto sacrosanto a sedere nell’empireo dei Maestri.

Tuttavia anche i maestri non sono infallibili e l’ottantasettenne Ridley (classe 1937) dovrebbe dire, citando l’infallibile per eccellenza, il Cesare Polacco/ispettore Rock nel Carosello della Brillantina Linetti, “anch’io ho commesso un errore…”. O forse più d’uno. Uno su tutti, il recente House of Gucci, che solo per rispetto diremo “pacchiano” e, purtroppo, anche la nuova attesa ultima opera.

Dal 23 novembre, infatti, arriva in sala, per poi approdare al comodo divano-tv dello streaming di Apple, il suo Napoleon, da lui diretto e prodotto con David Scarpa alla sceneggiatura. Lo stesso, per Scott, ha lavorato anche al sequel de Il gladiatore 2, annunciato per il 2024 (un q.b. di diffidenza e timore è dovuto).

Dopo trenta e più film che la storia del cinema ha dedicato al Grande Corso tocca a Joaquin Phoenix vestire i panni di Napoleone in un biopic bifronte, da un lato la Storia che ha scritto con le guerre e le strategie politiche, dall’altro l’amore irriducibile per Josephine, impersonata da Vanessa Kirby.

Ed ecco le perplessità, dunque. Già dall’incipit con un falso storico: 14 ottobre 1793, Napoleone è tra la folla urlante che assiste alla decapitazione di Maria Antonietta. Il boia esibisce una testa che sembra pescata in cartoleria tra le rimanenze del recente Halloween, piuttosto che dal cesto della ghigliottina. Perdonate, ma non è solo una pignoleria.

E da qui la Storia diventa una sorta di Bignami napoleonico. La carriera dell’ufficiale d’artiglieria si sviluppa e prende il volo attraverso la vittoriosa riconquista di Tolone, via via passando per la campagna d’Egitto, il colpo di stato del 1799, l’autoproclamazione ad Imperatore, la battaglia di Austerlitz, la campagna di Russia, l’esilio all’Elba con fuga, il ritorno in Francia, la sconfitta a Waterloo e il definitivo esilio a Sant’Elena dove morirà nel manzoniano 5 maggio 1821.

Mentre l’abile stratega, il condottiero tanto implacabile sul campo di battaglia come nella gestione del potere, in privato, soffre terribili pene d’amore, versando anche calde lacrime, per la sua molto amata (ma anche fedifraga) Josephine, rappresentata nell’aspetto e nei modi più come una cortigiana che come l’Imperatrice.

Se Joaquin Phoenix è anche somaticamente credibile nei panni del Bonaparte politico e soldato dell’iconografia ufficiale (dalla quale prende anche una certa immobilità) lo stesso non si può dire di Vanessa Kirby dalla perenne boccuccia protesa e socchiusa, tipo una duck face da selfie, la cui forse troppo contemporanea bellezza, gli atteggiamenti e le movenze risulterebbero più adeguati alla corte pop della Maria Antonietta di Sofia Coppola.

Siamo quindi lontani dal Napoléon di Abel Gance, capolavoro del cinema muto del 1927, e autentica ossessione del regista che dedicò al personaggio altri cinque progetti, quattro dei quali portati sullo schermo: Napoleone Bonaparte (1934), Napoleone ad Austerliz (1960) e Napoleone a Sant’Elena (1972).

Ma il Bonaparte di Scott è anche infinitamente lontano dal grandioso Waterloo di Sergej Fëdorovič Bondarčuk, del 1970, nel quale il regista russo racconta gli ultimi 100 giorni di Napoleone, dal ritorno dall’esilio all’Isola d’Elba alla sconfitta definitiva per mano delle armate guidate da Wellighton.

Ridley Scott col suo Napooleon è soprattutto infinitamente lontano da sé stesso. Da I duellanti, il suo autentico capolavoro “napoleonico” nel quale la parabola di Bonaparte scandisce come un metronomo la vicenda che oppone Armand d’Hubert (Keith Carradine) a Gabriel Feraud (Harvey Keitel). 
In quest’ultimo Napoleone, forse temendo l’oleografia o forse per contenere le spese, Ridley Scott sceglie una strada narrativa e visiva “moderna” e per molti aspetti deludente.

Laddove le scritte in sovrimpressione ci danno conto delle migliaia e migliaia di morti, ragionieristicamente distinti battaglia per battaglia per un totale di 3.000.000 di caduti sui fronti bellici nell’intero arco temporale napoleonico, quello che il regista ci fa vedere è ben poco rappresentativo.

Senza voler scomodare i colossali movimenti di truppe di Bondarčuk (altri tempi, altri budget) qui le battaglie appaiono poco più di risse da strada tra hooligan all’uscita dallo stadio, appena si allarga l’inquadratura, fin lì stretta nei dettagli con molto mestiere (adottando il metodo Eisenstein almeno ci si potevan mettere “gli stivali dei soldati e l’occhio della madre”).

Poco o nulla, poi, si dice delle delle strategie e delle tecniche militari che hanno reso leggendarie le campagne napoleoniche, poco o nulla dei personaggi (storici) al fianco dell’Imperatore o dei suoi avversari.
Scott offre cenni sbrigativi, qui e là, per rendere la crudeltà e l’ambizione dell’ex ufficiale di artiglieria: Napoleone che spara cannonate ad alzo zero sui rivoltosi sostenitori della monarchia, Napoleone che spara alla punta della piramide di Giza (anche questo non è mai successo) nella campagna d’Egitto (con successiva scena, involontariamente comica, nella quale guarda negli occhi la mummia di un Faraone che, come se non reggesse lo sguardo di Napoleone, si accascia di lato).

Certo che un’epopea come quella napoleonica non è facile da riassumere nello spazio di un film e questo Napoleon, con le sue due ore e quaranta circa, costringe l’anziano Maestro Ridley Scott ad un’opera di sintesi stenografica. Come a voler anticipare o rinviare più in là appunti e critiche fiologiche Scott ha già annunciato un Napoleon – Director’s cut di quattro ore, staremo a vedere.