Antigone oggi vive in Canada. In sala il film dalla parte delle vittime di tutte le polizie

Arriva in sala dal 4 novembre (con Parthénos Distribuzione insieme a Lucky Red) “Antigone” della canadese Sophie Deraspe. Un film bellissimo, potente, che trasporta la tragedia di Sofocle ai giorni nostri, di fronte all’omicidio di un ragazzo immigrato da parte della polizia canadese. E lei, la sorella che sfida la legge degli uomini per seguire la legge dei sentimenti, ha la potenza della Giovanna d’Arco di Dreyer. Passato alla Festa di Roma 2019 dopo il trionfo al festival di Toronto …

Antigone, Ismene, Polinice, Etéocle. Nomi antichi per una storia senza tempo e senza luogo. Ieri nella Atene di Esopo. Oggi in un qualsiasi altro paese. Per esempio in Canada.

E in Canada è ambientata la storia della moderna Antigone raccontata dalla 45enne regista candese Sophie Deraspe col suo film, Antigone appunto, presentato nella seconda giornata della Festa del cinema di Roma 2019, dopo il trionfo al Festival di Toronto e la decisione del Canada di portarlo all’Oscar.

Perché il film merita decisamente di essere premiato. Il soggetto che ripropone è quello classico con pochi adattamenti alla realtà odierna. Antigone è una giovane profuga sbarcata da poco più di dieci anni in Canada assieme alla nonna e ai suoi tre fratelli: la sorella Ismene e i fratelli Etéocle e Polinice.

Provengono dalla Cabilia, una regione berbera dell’Algeria e fuggono per salvarsi dalla morte dopo che già il padre e la madre erano stati assassinati e i loro corpi gettati nella polvere proprio davanti alla porta di casa.

In Canada, finalmente, tutto sembra andare per il meglio. Vivono in una casa più che dignitosa. La nonna, che non smette i costumi tradizionali manda avanti la famiglia come può. Ismene fa la sciampista. Il maggiore dei due fratelli, Etéocle, è un campioncino in una squadretta locale di calcio.

Di Polinice si capisce che ha ambigui comportamenti border line, ma insomma sembra nemmeno tanto. Di Antigone invece si capisce tutto e subito: è una 17ennne minuta e carina, studiosa, bravissima a scuola tanto da meritarsi una borsa di studio, con un bel biondino ricco e borghese che le ronza intorno.

Quando tutto sembra andare per il meglio ecco la tragedia. In un confronto con la polizia che usa maniere decise, Etèocle fa una mossa brusca per prendere il cellulare. Un poliziotto pensa che abbia un’arma, spara e lo uccide. Nei tafferugli che ne seguono l’altro fratello, Polinice, viene arrestato e messo in prigione.

È di fronte a questa svolta drammatica che Antigone matura la scelta decisiva: con uno stratagemma e con la complicità della nonna, riesce a far evadere il fratello sostituendosi a lui in carcere. Inutile dire che viene scoperta, incriminata e processata. Perché lo ha fatto? Per sfidare e violare la legge? Per far fuggire un detenuto? No, grida in tribunale: “il cuore me lo ha detto il cuore. Lui è mio fratello”.

Eccoci così tornati ad Atene. Antigone che 2300 anni fa voleva comunque seppellire il fratello morto sfidando la legge degli uomini per seguire la legge dei sentimenti, ora sente di dover fare altrettanto per favorire il fratello carcerato.

Il confronto con la legge è durissimo. Lei appare caduta in terra da un altro pianeta nella sua leggerezza indifesa mentre il gracile corpo sembra trasfigurarsi in quello di un gigante fermo nelle sue radicali convinzioni. Sembra l’accusata, è l’accusatrice. La legge è fatta di articoli, regolamenti, procedure, lei non vacilla. I suoi riferimenti sono pochi ma chiarissimi: l’amore per la famiglia, il dovere morale di aiutare il fratello solo perché è suo fratello e lei gli vuole comunque bene.

Le immagini sono bellissime. Girate con la macchina a mano quelle di azione. Lo scontro con la polizia all’origine di tutto. Le proteste che dilagano fra la gioventù immigrata, le auto incendiate, le cariche delle forze dell’ordine, i writers che riempiono i muri della periferia di Toronto con slogan e immagini a suo sostegno, i ragazzi che ballano per strada, tutte scandite velocissime a ritmo di rap incalzante e travolgente.

Lei è Daniele nella fossa dei leoni, forte e incrollabile nella sua fede. E con lo sguardo che non vacilla e con i capelli cortissimi, tagliati per poter sostituire il fratello in cella, ricorda la santa Giovanna di Dreyer mandata al rogo.

La sua fermezza, il suo candore, il suo proclamarsi colpevole, il non volersi difendere nel processo pronta ad espiare senza combattere, sono talmente rivoluzionari da conquistarle perfino il rispetto stupito degli inquirenti nonché le simpatie delle secondine e delle altre recluse con lei nel carcere minorile: “la mia famiglia, mio fratello sempre e comunque prima di tutto”.

Poi si scopre che sia il fratello morto (le immagini della bara bianca col suo viso di cera sono assolutamente agghiaccianti) sia quello aiutato a fuggire non erano gli stinchi di santo che lei credeva. Entrambi risultano affiliati a un gruppo terrorista islamico e sul loro conto la polizia aveva accumulato inequivocabili dossier. E pure Antigone, assolutamente fuori da ogni sospetto, viene inevitabilmente massacrata sui social, dipinta anche lei come una poco di buono addirittura come una terrorista. Ma ugualmente non rinnega il suo amore per loro.

Alla fine, grazie a un bravo avvocato difensore d’ufficio, grazie alla pressione dell’opinione pubblica, grazie al potente padre del suo amico-fidanzato, che la spalleggia contro tutto e contro tutti, riuscirà a fermarsi prima di finire nel baratro. Assolutamente fondamentale in un sogno-incubo (immagini da cineteca!) l’incontro con una psichiatra cieca, che guarda caso si chiama Teresa come l’indovino cieco Tiresia, che la ammonisce: il conflitto fra la legge degli uomini e la legge della coscienza è irrisolvibile.

Insistere nella battaglia significa finire murata viva, come l’Antigone di Sofocle. L’amore, con “la prima volta” consumata col suo ragazzo in un poetico prato di fiori, in una sequenza di dolcezza assoluta, l’aiuterà a riprendere una vita fuori da prigioni e tribunali, fuori da dilemmi irrisolvibili.

Un futuro di sciampista attende la sorella che chiede solo di poter tornare a una vita normale senza tragedie e senza eroismi. La nonna, dopo avere anche lei assaporato il carcere per complicità col nipote, tornerà invece in Algeria, proprio per stare vicino al nipote catturato ed estradato nonostante vada certamente incontro a prigioni disumane e torture.
Il film si chiude con un fermo immagine di un primo piano di Antigone (una assolutamente superba Nahéma Ricci, un volto da non dimenticare) che da solo vale la metà dei 104 minuti di proiezione.