“Billy Lynn”, su quel palco tutta l’America di Trump
In sala dal 2 febbraio (per Warner Bros) “Billy Lynn. Un giorno da eroe” il nuovo film del regista premio Oscar Ang Lee tratto dal romanzo del texano Ben Fountain. Un paese e il suo show. La cinica macchina mediatica americana che si dispiega senza censure intorno ad un giovane “eroe” di guerra di ritorno dal fronte iracheno. Da non perdere …
Uscirà nelle nostre sale il 2 febbraio il bel film di Ang Lee Billy Lynn. Un giorno da eroe, tratto dal libro dello scrittore texano Ben Fountain, pubblicato in Italia da minimum fax come È il tuo giorno, Billy Lynn!, che nel titolo originale – Billy Lynn’s Long Halftime Walk – fa riferimento all’intervallo fra i 4 tempi di una partita di football americano.
Si tratta di una coproduzione anglo-cino-americana, distribuita in Italia dalla Warner Bros, che tocca in modo originale e politicamente poco corretto temi che appartengono alla sensibilità yankee ma sfiorano corde universali: l’eroismo in battaglia, il suo sfruttamento commerciale, la distanza tra chi guarda la guerra in tv e chi la combatte in prima linea, e soprattutto quel disagio sempre più diffuso tra i reduci che prende il nome di sindrome da stress post traumatico.
Un drappello di soldati che ha compiuto una missione pericolosa in Iraq e che ora si gode una breve licenza in America viene invitato a partecipare a uno show allestito a scopo celebrativo in uno stadio texano e che avrà luogo nell’intervallo di una partita di football con tanto di majorettes, fuochi artificiali e passerella di star.
Tra questi soldati, legati da un forte ma anche disincantato spirito di gruppo, spiccano le figure del sergente Dime (un bravissimo Garrett Hedlund) e quella di Billy Lynn, l’eroe interpretato dalla stella nascente Joe Alwin (grande futuro assicurato) che, incurante delle pallottole, ha vanamente cercato di trarre in salvo il sergente Shroom (Vin Diesel).
Il film è ambientato in gran parte nello scenario straniante del pre-partita, con lo stadio che va pian piano riempendosi, e poi nell’intervallo riservato allo show, con personaggi che agiscono dietro le quinte incuranti di quel che passa nella testa dei soldati, cercando di renderli funzionali alle esigenze televisive, alla resa spettacolare e alla chiassosità dello spettacolo cinicamente diretto da Steve Martin, convertito al ruolo per lui inedito di perfido magnate dei media. E poiché la scena dell’uccisione di Shroom e del gesto eroico di Billy Lynn è stata ripresa da una telecamera, viene anch’essa addomesticata e resa funzionale allo show.
Superfluo dire che in quel backstage c’è tutta l’America contemporanea: quell’America first che accompagna il trionfo di Trump, quella che esalta il coraggio e l’individualismo alla Clint Eastwood, quella che celebra l’amicizia virile, quella ipocrita e volgare dello showbiz, ma anche quella indifferente, se non ostile nei confronti di una guerra considerata sbagliata (l’epoca è quella della armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e della democrazia d’esportazione, ma il discorso resta attualissimo).
Mentre si palesano le assurdità e le trappole nascoste nello spettacolo, nella testa dei soldati continuano a scorrere – come in un controcanto – le immagini della guerra appena lasciata alle spalle. Immagini che Ang Lee traduce in una serie di flashback sulla battaglia costata la vita al sergente Shroom, ricorrendo a un realismo e a una crudezza che hanno pochi precedenti nella storia del cinema.
Forse questo passaggio continuo tra i due scenari è reso con una certa meccanicità, che però rende bene l’estraneità e i continui rimandi tra la violenza inaudita della guerra e quella più sottile del mondo borghese, creando quella dissociazione che è appunto all’origine della sindrome da stress post traumatico.
Il film risulta assai convincente nella descrizione di queste due dimensioni scarsamente comunicanti eppure così legate tra loro. Aggiungono poco, invece, il fugace colpo di fulmine tra Billy Lynn e una majorette, nonché l’incursione di Billy nella casa di famiglia, dove la sorella cerca inutilmente di convincerlo a non tornare in Iraq. Alla fine a prevalere sarà il vincolo tra commilitoni, o forse un senso del dovere degno di cause migliori.
31 Maggio 2020
Clint e Trump, due cani sciolti nell’America profonda
Per i 90 anni di Clint Eastwood riproponiamo un pezzo di qualche hanno fa…
30 Gennaio 2017
Il cinema iraniano da Oscar boicotta gli Oscar. Contro Trump
Il regista iraniano premio Oscar Asghar Farhadi e l'attrice protagonista del…
23 Dicembre 2016
Quel medico di campagna, quasi amico
In sala dal 22 dicembre (per Bim) "Un medico di campagna", interpretato…