Capolavori cine-letterari. “Thérèse Raquin” (su Netflix) tra Émile Zola e Marcel Carné

Un folgorante classico del noir francese. Una storia di emancipazione mancata che finisce in tragedia. Ecco la nostra proposta per  l’8 marzo: “Thérèse Raquin”, disponibile su Netflix, capolavoro cine-letterario di Marcel Carné del 1953 ispirato alle pagine di Émile Zola. Dalla Parigi di fine Ottocento alla Lione degli anni Cinquanta del secolo scorso. Incandescente interpretazione dei due giovanissimi Raf Vallone e Simone Signoret nei panni degli amanti protagonisti. Qui anche la storia del libro bollato allora come “scandaloso marciume” dal quale il film si discosta parecchio …

Casalinga avvilita, sposa del cugino Camille gretto e malato, Impiegato che indossa mezze maniche in cotone per non rovinare la giacca nonché succube della madre iperprotettiva, Thérèse porta avanti un’esistenza monotona nella merceria della zia-suocera Sylvie che l’ha adottata quando è rimasta orfana; unica distrazione le partite a domino il giovedì pomeriggio.

Vive una spudorata relazione amorosa con Laurent, camionista italiano perdigiorno e aspirante pittore, tutto muscoli, diventato amico della famiglia. Dopo alcuni torridi pomeriggi trascorsi nel letto coniugale sopra la merceria, con il gatto unico testimone, Laurent nel corso di una gita sul fiume provoca la morte di Camille. Nessuno sospetta dei due: la gracile creatura, con una madre tanto ansiosa, certo non ha imparato a nuotare.

Netflix ci propone ora Thérèse Raquin, ardente film noir del 1953 diretto da Marcel Carné e adattato dal più noto sceneggiatore dell’epoca Charles Spaak, ispirato al testo del 1867 del romanziere e critico d’arte futuro padre del naturalismo Émile Zola (1840-1902). Di ambientazione contemporanea – a Lione nel 1953 – fu presentato in concorso alla 18ª Mostra del cinema di Venezia, dove gli fu assegnato il Leone d’argento.

Da un incontro fortuito fra i produttori fratelli Hakim e il regista Marcel Carné che aveva già al suo attivo, fra gli altri, Alba tragica (1939), L’amore e il diavolo (1942), La vergine scaltra e Juliette o la chiave dei sogni (entrambi 1950), nacque l’idea della trasposizione cinematografica di Thérèse Raquin. Carné non era entusiasta: il suo mentore, Jacques Feyder, ne aveva già realizzato un brillante adattamento nel 1928: impossibile per lui farne altrettanto. Per giunta, la seconda parte del romanzo lo lascia perplesso: mancanza di azione, troppi rimorsi.

Ma infine accetta, esigendo però alcune modifiche nella trama originaria: si svolgerà a Lione e non a Parigi, e nei primi anni ’50 dello scorso secolo, non a metà anni ’60 dell’’800. Trasforma in dramma un semplice fatto di cronaca nera, tralasciando la premeditazione del crimine per lasciare spazio alla fatalità della passione e all’infelicità dei due amanti, insospettati e impuniti sì, ma divorati dal rimorso.

Percorre il testo un’innovativa e inedita, per l’epoca, analisi di tipo psicologico e criminologico, illustrando senza mezze misure il senso di colpa persecutorio che, dopo avere inesorabilmente trasformato il loro amore in odio, trascina i due amanti verso il reciproco omicidio-suicidio; la vecchia Sylvie ancora viva, li osserva con sguardo soddisfatto e nel contempo disgustato per la vendetta da tempo bramata e infine ottenuta: “il mio primo autentico romanzo naturalista” lo definì in seguito l’autore, poi diventato famosissimo, nonostante fosse stato a ben due riprese bocciato all’esame di maturità! Una sera i due, entrambi desiderosi della morte dell’altro si uccidono, consapevoli dei loro errori.

E la comparsa di un marinaio improvvisatosi estorsore in seguito alla morte di Camille viene a discostare ulteriormente l’opera di Carné dal romanzo di Zola. Ne risulta un film dall’atmosfera opprimente, magistralmente interpretato, fra gli altri, da Simone Signoret (Thérèse). Indimenticabile nel ruolo di donna moderna dal destino tragico, con al suo fianco Raf Vallone che per la prima volta recita in francese.

È nel 1867 che Emile Zola pubblica, prima a puntate e poi in volume, come si usava allora, Thérèse Raquin, mentre si appresta a dar vita al ciclo in venti volumi di I Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero (1871 – ’93).

Di questo immenso affresco della società del tempo, osservata con rigore scientifico e con una scrupolosa ricognizione storica, sociologica, linguistica fa parte, fra gli altri, il celeberrimo Germinale (1885), accorata denuncia della dura vita dei minatori nella seconda rivoluzione industriale. Oltre alla durezza delle condizioni dei lavoratori, Zola descrive anche ne I Rougon-Macquart le turpitudini della società del Secondo Impero (Nanà, 1880), ma anche i suoi successi (Al paradiso delle signore, 1883). In una ricerca della verità che prende a modello i metodi scientifici, accumula osservazioni e documentazioni dirette su ogni argomento.

Con il suo acuto senso del dettaglio e della metafora efficace, con il ritmo delle sue frasi e le sue costruzioni narrative, fu in grado di creare un potente mondo immaginario, abitato da domande angosciate sul corpo umano e sociale: “La scienza ha promesso la felicità? Non credo. Ha promesso la verità, e la questione è di sapere se con la verità si farà mai la felicità” proclamò nel 1893 all’Assemblea generale degli studenti di Parigi.

Di “scandaloso marciume”, fu bollato allora dai più Thérèse Raquin. Di marcio ve ne è parecchio – per dirla con lo stesso Zola – a cominciare dal puzzolente brano dove si trova l’umida e buia merceria, con annesso alloggio, che fa da sfondo alla vicenda: “mensole di un orribile marrone, intonaco che pare lebbra”. L’apirante pittore, in mancanza di modelle nude, mette Camille in posa per un ritratto: “davvero molto somigliante!” gongola la famiglia beata, mentre Zola informa: “era ripugnante, di un grigio sporco, con larghe chiazze violacee. La faccia verdognola di un morto affogato”.

Si tratta insomma per i detrattori di “letteratura putrida”, appartenente a una «mostruosa scuola di romanzieri, […] che fa appello alle curiosità più chirurgiche e raggruppa gli appestati per farcene ammirare le chiazze della pelle”. E ancora “romanzi come Thérèse Raquin, così crudi e morbosi, anziché combattere l’ingiustizia sociale, inducono soltanto al vizio e alla lascivia, tralasciando gli alti ideali libertari e democratici”. Si tratta forse di “marciume”, ma di grandissimo svago e spessore al tempo stesso, come quasi tutta la narrativa di Zola.

Negli ultimi anni della sua vita, intervenne con passione in difesa dell’innocente capitano Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato di spionaggio, attraverso una serie di articoli culminati nella celeberrima lettera aperta al presidente della Repubblica pubblicata sul quotidiano L’Aurore il 13 gennaio 1898, nota con il titolo di J’accuse, che procurò all’autore un processo e una condanna per diffamazione che lo costrinsero a rifugiarsi in Inghilterra e divenne uno dei leader culturali della sinistra francese. Ma questa è un’altra storia.