Così ridevamo. Troisi e la sua generazione nello sguardo innamorato di Martone, alla Berlinale

Laggiù qualcuno mi ama”, l’omaggio di Mario Martone a Massimo Troisi, presentato alla Berlinale. Le testimonianze, tra le altre, di Paolo Sorrentino, Francesco Piccolo e Goffredo Fofi ricostruiscono l’artista, l’uomo e la sua militanza politica, aspetto abitualmente poco esplorato eppure così evidente nella sua stessa comicità. Un documentario fatto con affetto e ammirazione sincera e che finisce per essere un film generazionale. Nei cinema dal 23 febbraio …

«Ha fatto più miracoli il tuo verbo / di quello dell’amato San Gennaro». Erano i versi conclusivi di una piccola poesia che Roberto Benigni scrisse per l’amico Massimo Troisi. Dobbiamo convenire, a distanza di anni, che in effetti è davvero così. San Gennaro, per quanto amato, a Berlino non è mai arrivato.

Troisi ci arriva invece attraverso lo sguardo innamorato di Mario Martone, in un documentario intitolato Laggiù qualcuno mi ama (forse qualcuno ricorderà il film di Robert Wise a cui strizza l’occhio), presentato nella sezione Special della 73a Berlinale.

Il regista napoletano entra voce e corpo nel suo lavoro, si mostra assieme al suo montatore Jacopo Quadri mentre rivede gli spezzoni dei film, racconta le tappe del suo amore per un attore che ha saputo diventare maschera attraverso un paradosso, quello di non nascondersi.

A Martone preme però sottolineare anche e soprattutto il Troisi sommerso e ignorato. La modernità delle sue sceneggiature, ad esempio, che già nel suo primo film, Ricomincio da tre, tiravano per la giacca tanti elementi scabrosi: il razzismo antimeridionale, l’indipendenza sessuale delle donne, il mondo al di là dell’assetto famigliare borghese.

Il documentario si concentra molto su questo aspetto, chiamando in causa la collaboratrice fissa di Troisi, Anna Pavignano, compagna anche nella vita per la prima parte della sua carriera cinematografica. È una presenza importante, la sua, che aiuta enormemente a dischiudere un lato spesso ignorato: quello politico.

È la condanna dei comici, essere così bravi a far ridere che quando si è seri nessuno è pronto ad ascoltare. Ci ha sbattuto il muso anche Troisi, che invece aveva una visione politica netta e spesso andava a colpire con l’ironia nei punti più dolorosi della scena politica e sociale italiana (memorabile la sua intervista in cui spiegava di voler essere figlio di Andreotti).

Una traccia che è rimasta sotterranea ma mai nascosta. Pavignano racconta del suo orgoglio da regista per la sequenza del pestaggio delle camice nere ne Le vie del signore sono finite (anche il titolo, in quel caso, aveva un grande peso a ben pensarci). Sentiva di essere riuscito, da autodidatta del cinema, a mettere in scena l’ingiustizia del fascismo. Da comico straordinario, sempre in quel film, al regime avrebbe dato un colpo di grazia con una battuta: «Con Mussolini i treni arrivano in orario? Bastava metterlo a fare il capostazione».

Troisi politico lo è sempre stato, insomma, il problema è solo che spesso le risate sono troppo rumorose e coprono ogni cosa. Ma da ragazzo, al primo film, rifiutò il palco di Sanremo per lanciare Ricomincio da tre, non volendo sottostare alla censura. Davanti ai veti della Rai disse laconico: «Ora sono indeciso tra il dire una poesia di Pascoli o di Carducci».

Martone chiede aiuto anche a colleghi e intellettuali. Raccontano il loro Troisi nel documentario, tra gli altri, Paolo Sorrentino, Francesco Piccolo e Goffredo Fofi. E trova in loro tante conferme, anche sui più azzardati dei suoi giudizi, come il paragone inaspettatamente solido con l’Antoine Doinel di Truffaut.  

Ma proprio in queste voci Laggiù qualcuno mi ama si rivela per quel che è per davvero: un film alla ricerca dell’immaginario emotivo di una generazione. Il mondo di giovani ragazzi del Sud, al tempo stesso ribelli e vittime dei loro genitori, che cercavano una redenzione politica e sociale senza nascondere la propria inadeguatezza. In quel ragazzetto napoletano che, insicuro, si toccava il sopracciglio e ripeteva le battute degli altri attori rivedevano se stessi e lo amarono anche per questo.