David Copperfield nel terzo millennio. È “Il cardellino” di Donna Tartt targato Amazon-Warner

Non arriva in sala ma solo sulle piattaforme digitali, dal 6 dicembre, “Il cardellino”, adattamento del bestseller di Donna Tartt, per la regia di John Crowley. Le tormentate vicissitudini del ragazzino Theo Decker, sopravvissuto a una bomba al Metropolitan Museum of Art che ha ucciso sua madre. Un romanzo di formazione fluviale (due ore e mezzo), un’odissea dickensiana del terzo millennio…

Il cardellino (“The Goldfinch”) di Donna Tartt, premio Pulitzer 2014, è stato un caso letterario planetario che ha fatto lacrimare svariati milioni di lettori. Sono tra i fortunati che, astenendosi sistematicamente dai best seller, possono godersi come materia fresca l’attesissimo adattamento cinematografico, comunque fluviale (due ore e mezzo), senza il disturbo dei paragoni con la pagina scritta.

Prodotto da Warner e Amazon, il film sarà distribuito dal 6 dicembre solo su piattaforma digitale. Anzi su molte piattaforme: Apple TV App, Itunes, Google Play, Youtube, Infinity, Sky Primafila, Chili, Rakuten TV, TIMvision, Playstation Store e MicrosoftFilm&TV.

Mi risparmio il lamento rituale sullo scippo al grande schermo e alle sale: è una battaglia persa. Molti critici Usa hanno però biasimato la scelta di non dilatare le tormentate vicissitudini del ragazzino Theo Decker, sopravvissuto a una bomba al Metropolitan Museum of Art che ha ucciso sua madre, nei tempi comodi di una serie tv. Magari hanno ragione, ma la sintesi regala al film di John Crowley una densità da odissea dickensiana del Terzo Millennio. L’appeal (qui materno) di Nicole Kidman farà il resto.

Dalle macerie del Museo, Theo (Ansel Elgort ) ha recuperato e nascosto il minuscolo e preziosissimo quadro di un cardellino dipinto nel 1654 da Carel Fabritius, contemporaneo di Vermeer: quello che stava guardando nell’attimo dell’esplosione. Sarà il tesoro – insieme amuleto e tormento – che lo accompagnerà nel lungo percorso verso l’età adulta, insieme al senso di colpa per la morte della mamma.

Nicole Kidman si materializza provvidenzialmente per dimostrare che di mamma non ce n’è una sola, e da generosa signora della upper class di Park Avenue accoglierebbe il ragazzino tra gli altri suoi figli se il babbo sciagurato e fedifrago (Luke Wilson) non si presentasse a rivendicarlo. Cambio di scena: in un desolato sobborgo di Las Vegas il tredicenne trova affetto e conforto solo nel coetaneo Boris (Finn Wolfhard), vispo immigrato ukraino che lo inizia a droga e furtarelli.

Poi anche il babbo muore malamente (dopo aver cercato di rubargli l’eredità), Theo scappa, trova rifugio dall’antiquario Hobie (Jeffrey Wright) che nel frattempo ha cresciuto Pippa, ferita anche lei al Metropolitan e orfana del suo socio… Insomma la storia è lunga e, ripeto, dickensiana. Non a caso Pippa – la ragazzina amata e perduta – viene chiamata anche Pip, come il protagonista di Grandi speranze.

Il cardellino-film è di fatto un bildungsroman che sfocia in thriller quando Theo, arrivato al successo come antiquario spregiudicato, si invischia col malavitoso Boris in una sanguinosa caccia al quadro, trafugato a sua insaputa. Ha imparato che la bellezza va restituita al mondo: non c’è altra salvezza possibile.

Fedele o no al romanzo, il racconto fila, e vanta attori-bambini magnifici: chissà perché quelli dei nostri film recenti (lasciamo stare De Sica!) sono invece inesorabilmente bellini, leziosi e inutili.

Chi pretende le lacrime, magari potrà rifugiarsi nella prosa di Tartt, qui gli eventi incalzano e manca il tempo. Anche se a tradimento esplode, nel clou emotivo del film, una cover della dylaniana It’s all over now Baby Blue da strappare le viscere. Sembra Mick Jagger, invece è Van Morrison. Da credere?

fonte HuffPost