È Londra il capolinea dell’umanità. Il nuovo romanzo di Orso Tosco emerge dalla palude del noir

Al suo secondo romanzo dopo “Aspettando i naufraghi,” Orso Tosco è in libreria con “London Voodoo” (sempre minimum fax) un noir cupissimo dove la metropoli è una metafora in purezza di un mondo in implosione. Una Londra livida e periferica (come quella della serie “Slow Horses”) segnata da misteriosi omicidi sui quali indaga la Sezione: torturatori sadici che comunicano telepaticamente attraverso il sangue e la violenza, un Voodoo urbano che è tra le invenzioni più potenti del romanzo. “London Voodoo” è tra i finalisti di Bookciak Legge. Orso Tosco è tra le firme di queste nostre pagine web …

 

Ho letto London Voodoo di Orso Tosco (minimun fax, 2022) casualmente negli stessi giorni in cui ho visto su Apple TV+ la serie Slow Horses con Gary Oldman. Accidentalmente, qualche giorno dopo sono dovuta andare per lavoro proprio a Londra, e una volta lì mi sentivo quasi stupita che ci fosse il sole e i parchi pieni di gente sdraiata a mangiare o a leggere sullo smartphone.

Che non fosse insomma l’incubo in cui la lettura di London Voodoo ti precipita, dark da far sembrare il Piranesi un fumettaro pop; una Londra livida e periferica da cui si dovrebbbe solo scappare. Curiosamente, anche nella serie tv di luce se ne vede poca che non siano i neon tristi degli androni dei caseggiati o i lampioni di notte.

Nel romanzo di Tosco la metropoli è una metafora in purezza di un mondo in implosione; un imprecisato virus, uno scenario di guerra, ci portano in un’Inghilterra completamente isolata dal resto del mondo, frontiere chiuse anche alle merci, la bella campagna del Sussex divorata da chilometri di serre altamente tecnologiche perché, scrive Tosco, nell’isolamento “Londra ha dovuto per la prima volta disegnare un profilo accurato del proprio appetito e l’ha trovato immenso, smisurato”.

Se il libro ci porta nella Palude – ovvero Hackney Marshes, vasto territorio di fanghiglia e acquitrini a ovest della città -, dove il Porco, uno dei protagonisti, poliziotto dalla pancia grossa e le mani sudate, seppellisce i corpi “di chi non ha retto ai suoi interrogatori”; dall’altra parte la sede più o meno clandestina dei “ronzini” di Slow Horses, squadriglia di spie defenestrate per vari errori commessi, si chiama il Pantano.

Paludi e pantani, e terrorismo, un sequestro da una parte, una serie di omicidi incomprensibili dall’altra; Eva B, poliziotta a capo della Sezione che deve risolvere il mistero con ogni mezzo necessario, è gelida e calcolatrice tanto quanto Lady D (Kristin Scott Thomas), la seconda scrivania dell’MI5 nel film.

Ora, potremmo andare avanti col gioco ma la realtà è che le trame dei noir e delle spy story sono state così tanto scandagliate che non c’è più molto da inventare. Quello che fa la differenza sono i personaggi, la capacità di scrittura, lo stile.

E se in Slow Horses è così facile, così irresistibile empatizzare con i “ronzini” perdenti e incasinati e con quello scorreggione del loro capo, in London Voodoo è tutto volutamente più complicato. Eva B, il Porco e Dennis Tabbot, ovvero la Sezione che indaga sulla folle ondata di omicidi, sono torturatori sadici, impassibili che comunicano telepaticamente attraverso il sangue e la violenza, un Voodoo urbano che è tra le invenzioni più potenti del romanzo.

Intorno a loro non si salva nessuno; non il Primo Ministro cinico e manipolatore, non il delirante personaggio di Sessantanove, una sorta di Pitonessa, oracolo vivente, tossicomane vecchia di secoli, che vede il futuro e vive incatenata in tutù nella cucina del Porco che la rifornisce di eroina in cambio della sua veggenza; non lo chef clandestino Rabdo Manik dalla capigliatura rockabilly, due stelle Michelin per i suoi “filetti di volpi urbane frollate per mesi dentro fondi di tè, galline allevate con scarti della produzione di ecstasy”; non i ragazzi in coda per ascoltare un vecchio punk senza più voce, i tossici, i londinesi tutti che girano per la città senza mai guardarsi intorno, un mondo anestetizzato che aspetta solo di deflagrare nell’ennesimo attentato.

Non c’è possibilità di empatizzare in questo delirio burroughsiano sovraffollato di metafore, che gira intorno a un mistero di cui ci aspettiamo prima o poi arrivi la soluzione. E arriva, ma non è quello che ci si aspetta. London Voodoo è facilmente classificabile come una storia apocalittica sui nostri tempi; il desiderio di un’autodistruzione totale perché solo così tutto può ripartire fa quasi venire voglia di pensare alla naturalezza con cui continuiamo in questi giorni a pronunciare la parole guerra nucleare, se non fosse che Orso Tosco non poteva immaginare tutto questo quando si è messo a scrivere, o magari ha anche lui una Sessantanove con le gambe coperte di tagli e il mascara sciolto rinchiusa da qualche parte.