È in quelle nuvole l’infinito autoritratto di Ghirri. Visioni doc che si fanno poesia
Passato alla Festa di Roma nella sezione Freestyle “Infinito – L’universo di Luigi Ghirri” di Matteo Parisini, poetico e toccante documentario che ha l’impagabile merito di aver scelto di parlare dell’uomo per spiegare l’artista e il suo lavoro. Un gioiello di film dedicato all’immenso fotografo a trent’anni dalla sua scomparsa. Un racconto in immagini a partire dai suoi tanti scritti …
Poco dopo avere visto questo film mi è capitato di leggere un articolo di Paola Zanuttini nel quale raccontava di una sua intervista a Philip Roth e mi ha colpito il passaggio nel quale affermava la sua passione per lo scrittore ma la scarsa voglia di intervistarlo per il timore di venire delusa dall’uomo.
Da anni, causa varie esperienze e prove provate, nutro lo stesso timore, tanto da evitare, nel limite del possibile, ogni approfondimento personale o anche semplicemente di incontrare gli autori delle opere che apprezzo di più. Ne ho fatto pressoché una regola autoprotettiva ma, si sa, ogni regola vuole la sua eccezione e la mia si chiama Luigi Ghirri.
Ho conosciuto e poi incontrato più volte Luigi e Paola. Meglio dire “la Paola”, come si usa da noi in Emilia e come la chiamano nel documentario di Matteo Parisini, Infinito – L’universo di Luigi Ghirri, passato in questi giorni alla Festa del Cinema di Roma 2022.
Erano venuti spesso a Fidenza, il mio paese in provincia di Parma, e poi inseguiti e raggiunti altrove semplicemente per un saluto e quattro chiacchiere.
L’occasione del primo incontro fu speciale perché molto fortuita: Paolo Barbaro, un amico fin da quando eravamo ragazzini, lavorava allo CSAC di Parma (oggi è responsabile degli Archivi fotografici contemporanei e agenzie del Centro, oltre che critico e storico della fotografia) e conosceva Ghirri già dall’importantissima mostra del ’79, allestita dall’Università alle Scuderie della Pilotta.
La mostra antologica, curata da Arturo Carlo Quintavalle, era quella che aveva lanciato Ghirri come uno dei fotografi più importanti degli anni ‘70 e ‘80. La mostra mi aveva letteralmente folgorato tanto da spingermi a visitarla bulimicamente tre o quattro volte, oltre ad averne consumato il catalogo che ancora oggi è una delle più venerate e consultate reliquie della mia libreria.
Dieci anni dopo, un giorno del 1989, mi arriva una telefonata di Paolo che diceva di aver parlato con Ghirri e che tutto il materiale de Il profilo delle nuvole (catalogo edito da Feltrinelli, 1989) già montato coi picoglass e tutto, pronto per essere esposto alla Feltrinelli di Milano e che, se lo volevamo, ce lo avrebbe prestato per una mostra, visto che i milanesi gli avevano rinviato la data di alcuni mesi, e come “pagamento” aveva posto una condizione non negoziabile: una cena alla Trattoria di Pizzati, di fianco al Duomo, dove si era fermato con gli altri fotografi ai tempi di Viaggio in Italia e di Esplorazioni sulla via Emilia
Senza pensarci un attimo gli ho detto “Si, facciamolo. Il posto e quei soldi che servono per allestire li troveremo, non so dove e quanti ma li troveremo… e per Pizzati non c’è problema”.
Per farla breve, riuscimmo a estorcere al Comune due soldi per stampare le locandine (e per le cene in trattoria), una sala nell’ex Macello cittadino appena riconvertito in Centro Giovanile e pannelli come supporto per esporre le foto.
Fu così che nel posto e nel modo più inattendibile del mondo abbiamo organizzato e allestito la prima mondiale clandestina del Profilo delle nuvole, la ricerca che ha rivoluzionato lo sguardo sul paesaggio e consacrato definitivamente Luigi come maestro imprescindibile della fotografia contemporanea.
Ovviamente quella mostra non viene citata in alcuna biografia di Ghirri ma da qualche parte ho ancora qualche invito e qualche manifesto come prova tangibile di quei quindici giorni nei quali siamo stati inconsapevolmente e incoscientemente al centro di un evento epocale per la fotografia mondiale.
Probabilmente è proprio per quell’entusiasmo incosciente e la naiveté che quella mostra era sinceramente piaciuta a Luigi tanto che la Paola, anni dopo, ci disse addirittura che quella mostra lui l’aveva amata più di tutte.
Forse quel “più di tutte” era un regalo aggiunto in un eccesso di generosità ma sono convinto che comunque non dicesse per dire, credo davvero che gli fosse piaciuta perché, in qualche modo, aveva colto l’affetto e la devozione che gli portavamo per il suo lavoro ma anche che scorgesse in noi una vicinanza di sguardo, oltre che umana. E pensare che la penuria di mezzi non ci aveva consentito nulla più di un allestimento davvero rozzo e sgangherato per il quale ci vergognavamo come ladri.
Questo era Luigi Ghirri, non solo il “nostro”, l’uomo tenero, divertente, profondo e generoso. Uno degli incontri più segnanti della mia vita.
Oggi credo di aver visto tutto il vedibile che negli anni ha avuto come protagonista Ghirri e per molti versi ho voluto trovare del buono in (quasi) tutte le declinazioni che sono state fatte del suo lavoro ma questo documentario è finalmente la cosa più toccante, poetica ed affettuosa che io abbia mai visto.
Il documentario al quale ha collaborato la stessa figlia di Ghirri, Adele, ha l’impagabile merito di aver scelto di parlare dell’uomo per spiegare l’artista e il suo lavoro. Le testimonianze affidate a familiari ed amici parlano di aneddoti e storie intime che sembrano non avere a che fare con l’opera e il pensiero di Ghirri. Che errore. Ghirri non avrebbe fatto, pensato e scritto le cose per le quali lo amiamo e per le quali è universalmente noto se non fosse stato così come viene raccontato in questo gioiello di film.
Luigi era un grande pensatore, dice di lui Giovanni Leone, e la prova viene dai testi che la voce fuori campo di Stefano Accorsi ci legge. Se le foto di Luigi rappresentano i capolavori che conosciamo ancora più importanti sono le testimonianze e i ragionamenti che possiamo trarre dai tanti libri ai quali possiamo attingere. Uno su tutti: Lezioni di fotografia, a cura di Paolo Barbaro e Giulio Bizzarri (ed. Quodlibet, 2009).
Ci sono autori oltre al Ghirri pensatore, ai quali tengo particolarmente perché rappresentano una sorta di famiglia intellettuale: Gianni Celati, che con Luigi ha avuto lunga collaborazione, John Berger che ha dedicato ai “modi di vedere” gran parte della sua opera, Georges Perec per l’instancabile catalogazione del visibile e Cesare Zavattini che parlava di “qualsiasità” per dire che il più piccolo luogo è una metafora del mondo.
Il filo che collega dialetticamente metodi e mondi intellettuali diversi si potrebbe riassumere nell’intento di stabilire i canoni per una didattica dello sguardo, alla quale Luigi Ghirri ha aggiunto un argomento tanto indispensabile quanto definitivo: lo stupore.
Lo stupore che coglie il pittore di Borges quando, alla fine della sua vita, dopo aver dipinto laghi, colline, monti, boschi e uomini, mettendo insieme il compendio delle sue opere si accorse che la somma componeva l’immagine del suo volto. Allo stesso modo anche quelle 365 fotografie di nuvole cosa sono se non un grande Infinito autoritratto di Luigi.
Gino Delledonne
Gino Delledonne
Architetto e docente universitario a contratto. Ha collaborato alle pagine culturali di vari giornali tra i quali "Diario" e "Archivio". Devoto del gruppo garage punk degli Oblivians.
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