Gli amori finiti male di Joyce Carol Oates

Bompiani porta in libreria “L’occhio del male”. Quattro storie di amori malsani tra gotico, ambiguità, delitti: una ricognizione sul concetto di sentimento e le sue possibili derive. La grande scrittrice statunitense che ama ed è amata dal cinema, usa il genere per turbare. Con un lavoro costante sull’immaginario tra Edgar Allan Poe e Stephen King…

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Joyce Carol Oates torna in libreria con L’occhio del male (edizioni Bompiani, pag. 216, euro 17). È la terza traduzione italiana dell’anno: a pochi mesi dalla pubblicazione dei romanzi Jack deve morire per Il Saggiatore e Scomparsa per Mondadori, la scrittrice di Lockport (Stato di New York) guadagna l’uscita del libro Evil Eye: Four Novellas of Love Gone Wrong, pubblicato negli Usa nel 2013.

L’autrice non ha bisogno di presentazioni: tra le maggiori figure della letteratura americana, arrivata a 78 anni, meno pubblicizzata di Roth ma più volte accostata al Nobel, nome chiave del romanzo americano del secondo Novecento e degli anni Duemila. Oltre cento opere tra prosa e poesia, romanzi e racconti: molti cult, tra cui Una famiglia americana (We Were the Mulvaneys, 1996) e Blonde (2000), la biografia romanzata della vita di Marilyn Monroe in 773 pagine (sempre Bompiani), da cui la Cbs ha tratto perfino una miniserie. Al cinema l’ha portata per ultimo Laurent Cantet con Foxfire (2012), trasposizione del romanzo Ragazze cattive.

In Evil Eye: Four Novellas of Love Gone Wrong, come dice il titolo, troviamo quattro racconti lunghi di “amori finiti male”. Nel primo, Malocchio, la protagonista è Mariana, quarta moglie del noto intellettuale Austin Mohr: l’intreccio si innesca quando la donna viene informata della visita della prima moglie, Ines. Sarà accolta per una notte nella loro casa ricca e piena dove, in particolare, campeggia un nazar, occhio arabo che serve da amuleto contro il malocchio. Ma stavolta non funzionerà. In unità di tempo e luogo (una notte), la scrittrice coltiva lo stereotipo basico, l’incontro con la sconosciuta, con lo scopo di evocare un umore oscuro e ambiguo: l’incontro con la prima moglie porta Mariana anche a rivalutare il noto, a interrogarsi sulla reale essenza del marito sfuggente. Più che il “fatto” in sé, però, il punto è disseminare dubbi, interrogare le certezze, cesellare le atmosfere. Edgar Allan Poe viene apertamente citato e la sua lezione aleggia, coniugata alla tendenza contemporanea all’impalpabilità, al nodo irrisolto, alla sospensione come quella che resta sulla possibile influenza del nazar.

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In Così vicino. In ogni momento. Sempre torniamo agli anni Settanta: in una biblioteca pubblica la giovane Lizbeth intreccia un gioco di sguardi con un ragazzo più maturo, Desmond Parrish. È l’inizio della conoscenza e di un rapporto, che da subito si afferma come indefinito e misterioso: lui, che non consuma l’amore per lei, vuole portarla ad agire sotto il suo controllo facendosi strategicamente assecondare, conducendola verso il compimento di un piano. Ma quale? Quando Lizbeth realizza e sceglie di allontanare il giovane, allora la situazione precipita… Carol Oates manovra qui l’archetipo del “partner sconosciuto”, indagando il lato oscuro dell’altro, la vera sostanza di chi è vicino a noi, che si svela gradualmente riservando rivelazioni perturbanti. Se lo scioglimento attinge al passato e – hitchcockianamente – alla sua ripetizione nel presente, l’assunto di fondo resta nell’instabilità delle relazioni: stare vicino all’amato, come il mistery insegna, non è mai un luogo sicuro.

Bart è il protagonista del racconto L’esecuzione. Egli, adolescente come tanti, ha deciso di uccidere i genitori: nell’incipit si introduce nella loro casa e li aggredisce a colpi d’ascia. Il padre muore, la madre va in coma. La donna, dinanzi ai primi soccorsi, riesce ad accusare il figlio prima di perdere i sensi. Durante il processo con Bart imputato la condanna appare scontata: ma la madre si risveglia dal coma e sceglie di testimoniare, con un clamoroso colpo di scena. Costruendo uno scenario estremo e paradossale, che allude alla cronaca dei nostri anni, la scrittrice apre nello splatter per poi scivolare verso il legal thriller. E, soprattutto, disegna una diversa forma di “amore”: quello tra madre e figlio, ugualmente malsano rispetto agli amanti, che dopo un atto efferato è in grado di intavolare una nuova relazione basata sull’ambiguità e il dubbio. Il migliore dei quattro.

Il pianale è un classico revenge. Qui Cecile conosce un ragazzo ma è sessualmente bloccata a causa del suo oscuro passato: la violenza subita da bambina si ripercuote drammaticamente nel presente. Individuato il colpevole, sarà il nuovo amante a saldare il conto e “liberarla” definitivamente. Amore fa ancora rima con morte: per raggiungere la catarsi e ottenere un rapporto compiuto, l’amato organizza un omicidio come prova d’amore, viatico imprescindibile per raggiungere la completezza del loro rapporto. L’autrice – con grande eleganza – rielabora il tema della vendetta a livello onirico: nel sogno di Cecile, infatti, un uomo è incatenato su un pianale verso il macello, in un’evidente riscrittura subcosciente del dolore che avvolge la protagonista.

I racconti hanno vita autonoma, funzionano da soli e allo stesso tempo dialogano tra loro: amori malsani, dunque, non solo tra amanti ma anche tra madri e figli, una ricognizione sul concetto di legame sentimentale sondando le sue possibili derive. Joyce Carol Oates ha più volte usato il genere per sviluppare il proprio discorso personale: spesso il giallo, non di rado il gotico e l’horror. A questi fa riferimento nell’opera: da Edgar Allan Poe a Stephen King, dal sovrannaturale al processuale, alla continua ricerca dell’atmosfera inquietante plausibile e vicina a noi.

È proprio muovendosi nei generi che la scrittrice si conferma magistrale: di nuovo porta in giro il lettore, lo conduce dove più le aggrada, lontano dal porto sicuro, nella zona del turbamento che prosegue oltre la pagina. L’occhio del male è anche un libro sull’immaginario: cita cinema e letteratura, li frequenta assiduamente, ne dimostra profonda consapevolezza e insieme la capacità di rinnovarli.