Il lato oscuro (e letterario) della Svizzera. La scomparsa di Claude Goretta

È morto a Ginevra, il 20 febbraio Claude Goretta, decano del cinema svizzero e grande narratore di “petits gents”, quel mondo piccolo borghese di impiegati di cui svelerà aspetti umani e lati oscuri. Appassionato di letteratura ha realizzato – molti per la tv svizzera – tantissimi adattamenti da Cechov, Simenon, Claudel, Strindberg, Dostoievski. La fama internazionale con “La merlettaia” dall’omonimo romanzo di Pascal Lainé che lancerà una giovanissima Isabelle Huppert  …

È stato un grande narratore di anime, di sentimenti, un autore raffinato e letterario, amato dai cinefili e semisconosciuto al nostro pubblico, nonostante una Palma d’oro conquistata da Gian Maria Volontè per quel film che racconta proprio del razzismo contro gli emigrati italiani in Svizzera: La morte di Mario Ricci, dell’83.

È scomparso a quasi 90 anni (li avrebbe compiuti il prossimo 23 giugno) Claude Goretta, decano del cinema svizzero, di origini italiane – il nonno era emigrato da Verbania sul lago Maggiore – e rappresentante, insieme ad Alain Tanner suo grande amico e complice, della Nouvelle Vague elvetica.

Una voglia di innovazione e sperimentazione che Goretta si riporta a casa, giovanissimo, dopo l’immersione nella “febbre” del FreeCinema inglese (Lindsay Anderson, Tony Richardson, Karel Reizs e Lorenza Mazzetti). A Londra arriva spinto proprio da Tanner, nel ’55. Nonostante gli studi di giurisprudenza seguiti per assecondare il volere paterno, il 26enne Claude è qui che scopre la sua vera passione. Nice Time del ’57 (guardalo), in cui sempre insieme a Tanner, punta la cinepresa sulla brulicante Piccadily Circus per raccontarne la vita nel corso di una giornata, è l’inizio.

Al ritorno in Svizzera è la televisione pubblica romanda (di lingua francese), vera fucina di sperimentazione, ad accogliere il giovane regista. E qui Goretta, ancora forte del bagno di realtà dell’esperienza inglese, comincia da una parte a girare documentari (tanti reportage per il programma, Continents sans visa) e, dall’altra, ad avvicinarsi alla letteratura che diventerà una costante del suo cinema.

Sono per la televisone, infatti, i suoi primi adattamenti da Claudel, Strindberg, Osborn, Weideli, Duras. E ancora quattro novelle di Cechov (Le Miroir des Vies perdues), de Maupassant (Le Jour des Noces da Una scampagnata) e, soprattutto, lo svizzero Charles-Ferdinand Ramuz alle cui storie ruvide e montanare tornerà in due riprese, nel ’66 con Jean-Luc persécuté e nell’87 col simbolico e “apocalittico” Se il sole non tornasse.

Nel frattempo, seguendo il vento del Sessantotto Goretta fonda il Groupe 5: casa di produzione indipendente che, con Alain Tanner, Jean-Louis Roy, Michel Soutter, Yves Yersin e Jean-Jacques Lagrange, fa conoscere il cinema svizzero oltre i confini nazionali. Anche se il suo esordio nel lungometraggio – siamo nel 1970 – , Le fou, storia di un impiegato modello che diventa un abile rapinatore, non uscirà neanche in sala. Le fondamenta del suo cinema però sono gettate. E col successivo, L’invito del ’73 entra nel palmarès di Cannes, denunciando la falsità e l’ipocrisia borghese della società svizzera. Osservando ancora una volta con sguardo cecoviano quel mondo di impiegati – come suo padre -, di “petits gents”, in cui ritrova “sia chi soffre sia chi cerca di vivere”.

La sua vera consacrazione internazionalale, però, arriva nel ’77 e nel segno della letteratura: La merlettaia, dall’omonimo romanzo di Pascal Lainé, dramma d’amore con “scontro di classe”, che regalerà alla giovanissima Isabelle Huppert una Palma d’Oro per l’interpretazione dell’indimenticabile parrucchiera sedotta e abbandonata dal giovanotto borghese.

Con lo scrittore Pascal Lainé la collaborazione proseguirà ancora nei Novanta, con un paio di titoli dal Maigret di Simenon (sua grande passione a cui dedica una lunga serie tv con Bruno Cremer) e dal Dostoievski di La mite, a cui si era già rivolto Bresson e di recente anche l’ucraino Sergei Loznitsa.

Da ricordare ancora un Orfeo dall’opera di Monteverdi, nell’85, e tra i grandi ritratti realizzati sempre per la tv, quello di Jean-Jacques Rousseau e Jean-Paul Sartre. È dell’83, come già detto, La morte di Mario Ricci, in cui un giornalista (Volontè) farà luce sull’omicidio a sfondo razziale di un giovane operaio italiano emigrato in Svizzera. Un film da consigliare a Salvini.