Il pastore che amava Mao, un Kaurismaki tibetano

È “Tharlo” di Pema Tseden, regista e scrittore del Tibet che per la prima volta porta sullo schermo un suo romanzo. Una storia di struggente poesia sulla perdita di identità e lo spaesamento di un uomo ingenuo che conosce solo le sue pecore. Un piccolo gioiello in bianco e nero…

 

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“La morte è uguale per tutti ma non tutte le morti hanno lo stesso peso. La morte del giusto, di chi serve il popolo pesa come una montagna. La morte di un fascista pesa come una piuma”. Lo ripete come un mantra Tharlo. Della vita non sa quasi nulla, ma i discorsi di Mao li sa tutti a memoria e li sciorina davanti al poliziotto del suo villaggio, mostrando la sua eccezionale memoria. Eppure non ricorda neanche quanti anni abbia, forse quaranta. Tharlo, infatti, è un orfano vissuto da sempre in montagna con le pecore che porta al pascolo per conto della collettività. Servire il popolo, come gli hanno insegnato, è la sua ragione di vita.
Tharlo si chiama Tharlo, ma tutti lo chiamano Treccia, per i lunghi capelli intrecciati che non si è mai tagliato da quando era bambino. A dargli il volto, con quegli occhi buoni e nerissimi è Shide Nyima, attore, poeta e musicista tibetano che col suo sguardo, ingenuo e sperduto, tiene in sè tutto il senso di questo piccolo film, sorprendente e poetico, passato nella sezione Orizzonti.
Il regista è Pema Tseden, classe 1969, nato nella regione del Qinghai (Cina) da genitori nomadi che per la prima volta ha scelto di portare al cinema un suo romanzo, Tharlo, appunto, che fa parte della raccolta  Neige, pubblicata in Francia, dove i suoi film (The Silent Holy Stone, The Search, Old Dog) hanno già avuto la ribalta di alcune retrospettive.
Nei  suo libri (tradotti in inglese, francese e tedesco), come nei suoi film centrali sono la sua terra d’origine e la cultura tibetana, di cui narra la dimensione contemporanea tra tradizione e globalizzazione. Temi che ritroviamo anche in Tharlo, girato nella sua regione natale del Qinghai. Qui il pastore vive nella sua dimensione originaria, nella genuinità della sua ingenuità, finché non sarà costretto a scendere in città, a Lhasa per farsi una foto per la carta d’identità, ed incontrerà una giovane parrucchiera scaltra e risoluta che lo porterà a perdere tutto. Anche la sua bella treccia.
Con l’ironia poetica di un Kaurismaki tibetano, Pema Tseden ci mostra una società in trasformazione, ma soprattutto in crisi di identità. Esilarante la scena dalla fotografa in cui una coppia di tradizionalissimi tibetani si mettono in abiti occidentali per posare davanti a un fondale di New York per una finta foto ricordo.
Così anche Tharlo si “sottometterà” al cambiamento, arrivando persino a perdere la memoria e con essa  “le parole” di Mao.