Un piccolo principe di 75 anni. E il suo film (su Infinity)
Era il 6 aprile 1943 quando “Il piccolo principe” di Saint-Exupéry arrivò nelle librerie americane. Mentre in quelle francesi uscì postumo nel ’46. Per l’occasione su Infinity il recente adattamento firmato da Mark Osborne del 2015 e presentato alla Festa di Roma. Quasi due film in uno, con una storia che fa da cornice tenendo insieme le pagine – vere – del libro. Un gioiellino da vedere. Con gli occhi e con il cuore…
Prendi 2 e paghi 1! Ci sono due film in The Little Prince o Le Petit Prince, un cartoon di produzione francese, visto nel giorno conclusivo della Festa del Cinema di Roma (nella collaterale rassegna Alice nella Città) e che uscirà nelle sale italiane il 1 gennaio 2016, distribuito da Lucky Red.
Anzi c’è un film e c’è un libro, quello di Antoine de Saint-Exupéry, opera «intoccabile» (anche per le vendite: 146 milioni di copie nel mondo) della letteratura cosiddetta per l’infanzia, un libro di passaggio dall’infanzia all’età adulta o, se preferite, dal vedere con il cuore al guardare con i soli occhi, negandosi la possibilità di vedere l’essenziale. Un bellissimo cartoon che è quasi un paradigma su come fare un ottimo film schivando l’annosa questione della fedeltà al testo originario.
Del resto, lo stesso regista, il talentuoso Mark Osborne (Sponge Bob e Kung Fu Panda), quando gli proposero di dirigere il film, prima disse di no, perché «questo libro – sentenziò – non è fatto per essere adattato per il grande schermo». Poi, per fortuna, ci ha ripensato tenendo comunque fede al suo pensiero. Che non si possa, cioè, trasformare in film un libro fatto sostanzialmente di emozioni, un distillato di aforismi (anche un po’ troppo mielosi) sull’amore, l’amicizia, la solitudine. E dunque ecco la trovata: un film nel film, un racconto nel racconto e, trovata delle trovate, trasformare il protagonista in una «piccola principessa».
È una ragazzina, infatti, la prima donna del cartoon. Una ragazzina assillata da una madre che prepara per lei una vita di efficienza, fatta solo di numeri e programmazione. Per questo la vuole iscrivere alla Werth Academy una scuola per crescere, il cui motto è: be essential, dove l’essenziale, va da sé, non è l’ideale saint-exuperiano. E se al test d’ingresso la piccola fallisce e sviene dall’emozione è già pronto un piano B. Una lunga estate per riparare, studiare e prepararsi a dovere, con le giornate scandite da una mega-lavagna, una sorta di tabellone excel con le bandierine da spostare ad ogni compito eseguito.
Ma accanto alla casa dove abita The Little Girl (in una città di monocromi cubicoli pseudo razionalisti tutti uguali) c’è una casa diversa, anomala, una casa strana, un po’ fatiscente ma molto colorata, dove abita un anziano signore: l’Aviatore. Eccolo qua l’aviatore del capolavoro di Saint-Exupéry (che, si sa, è lo stesso Saint-Exupéry, lui stesso aviatore e tragicamente morto in volo), stupendamente caratterizzato nel cartoon come un barbuto vecchietto (nella versione inglese interpretato da un bravissimo Jeff Bridges; meno efficacemente in italiano da Toni Servillo).
Dall’incontro (ovviamente contrastato dalla madre) tra il vecchio e la bambina nasce una grande amicizia, cementata dalla lettura del diario dell’aviatore, una cronaca narrata e disegnata (attraverso le pagine autografe di Saint-Exupéry) del fantastico incontro tra il pilota ancora giovane e il Piccolo Principe che vaga nello spazio, saltando da un asteroide all’altro, curando rose e facendo amicizia con una volpe.
Sono proprio questi intermezzi, durante i quali l’Aviatore mostra alla bambina le pagine del suo libro, la trovata di cui si diceva. Che si realizza in pieno attraverso l’uso di uno stile e di una tecnica d’animazione totalmente diversa da quella del racconto principale. A fronte dell’animazione 3D (stile Pixar per intenderci) c’è la riscoperta della vecchia stop-motion (seppure filtrata anche questa in 3D) e realizzata con l’uso di carte colorate che conferiscono a personaggi e panorami (bellissimi i deserti gialli e arancioni che fanno da sfondo) un’elegante leggerezza che ha il sapore di tanto cinema d’animazione d’autore d’antan. Un contrasto stilistico che allude allo scontro tra i due mondi: quello del vecchio che si avvia al termine della sua vita e quello della ragazzina che sembrerebbe destinata a un futuro rigidamente programmato.
Sembrerebbe… perché The Little Girl non ci sta proprio: vuole ritrovare il Piccolo Principe perdutosi nello spazio, salta sullo scassato aereo che l’Aviatore tentava invano di rimettere in sesto e spicca il volo. È la seconda parte del film, o meglio l’altro film che, quando il primo (quello che anima il testo di Saint-Exupéry) sembra finire, entra nel vivo e porta al finale.
Sostenuto da un’animazione accuratissima e senza sbavature, dal consueto corredo di gag, di azzeccatissimi characters (anche i cattivi sono simpatici) e di mascotte (la volpe di pezza, contraltare della volpe di carta della parte saint-exuperiana), il Piccolo Principe di Mark Osborne è un gioiellino da vedere. Con gli occhi e con il cuore.
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