“In fondo al bosco” delle nostre paure

Un bimbo che scompare, una famiglia in pezzi. È il thriller di Stefano Lodovichi girato sulle Dolomiti e in sala dal 19 novembre per Notorious Pictures…

IFAB_2015-04-15_125Sarà in sala dal 19 novembre il film di Stefano Lodovichi, In fondo al bosco, con Filippo Nigro e Camilla Filippi, sceneggiatura originale di Isabella Aguilar, Davide Orsini e dello stesso Lodovichi. Il film, opera seconda del giovane regista grossetano (il suo procedente film, Aquadro, è del 2013), è frutto di una partnership tra Notorious Pictures e Sky Cinema, che per la prima volta lancia nel circuito commerciale una produzione originale affidandosi ai “giovani talenti italiani”, come recita la ricca brochure che ha accompagnato la presentazione alla stampa al cinema Moderno di Roma, con tanto di coreografia che ricrea l’atmosfera del bosco sin dal corridoio di ingresso alle sale.

E in effetti il film, ambientato in un piccolo paese della Val di Fassa durante un inverno ancora indenne dalle settimane bianche, conta molto su atmosfere che rinviano agli incubi infantili, a cominciare dal bosco notturno e misterioso per finire al pozzo buio e profondo. Durante una festa che viene (effettivamente) celebrata in quei luoghi a inizio dicembre, con gli uomini vestiti da diavolo per spaventare i bimbi cattivi e l’alcol che scorre a fiumi, il piccolo di una coppia già in crisi scompare misteriosamente nel bosco. Il padre non si dà pace, e per di più viene guardato con sospetto da tutto il paese perché ama bere la grappa più del dovuto. La moglie è l’unica che lo difende, e tuttavia finisce per distruggere un matrimonio che faceva già acqua da tutte le parti.
Dopo cinque anni il bambino riappare misteriosamente in un luogo lontano, nascosto in un tunnel di Napoli dove è stato abbandonato, privo di ricordi e di un passato.

Il test del dna ne conferma l’identità e così il bambino torna nel piccolo paese d’origine, dove incontra però l’ostilità degli abitanti – che temono addirittura un’incarnazione del diavolo – e della stessa madre, che sembra non riconoscerlo e dunque è restia ad accettarlo. Da questo momento inizia un sottile gioco psicologico che vede contrapposto il padre e il figliol prodigo al resto di quel piccolo mondo ostile e refrattario, e in particolare alla madre, alla cui controversa e inquietante figura Camilla Filippi dona un’intensità ricca di sfumature. Finché un inatteso finale condanna tutti all’inferno, salvo il padre e il bambino che sembrano gli unici parzialmente esenti da colpe.
Non mancano gli espliciti richiami alla realtà (la vicenda di Cogne prima di tutto) e quelli cinematografici – da E.T. a Changeling passando per la recente serie francese Les révenants – in un film non privo di ambizioni e attraversato da un’inquietudine che si potrebbe dire quasi ancestrale. A suo vantaggio vanno un’ambientazione efficace e non certo banale (la collaborazione della Trentino Film Commission e dell’Apt di Fassa si fa sentire, anche se non in chiave di promozione turistica), la recitazione notevole, compresa quella dei comprimari e dei due bambini che danno volto al protagonista, e la trama ricca di colpi di scena, anche se non convincente del tutto. Alla fine, infatti, resta un senso vago di incompletezza. Forse ha a che fare con una sceneggiatura non proprio impeccabile. Forse con un difetto atavico del cinema italiano, quando cerca di misurarsi con un genere che non fa parte del suo dna, tanto più che a fare la parte del leone in questo film è proprio il dna.