Nel nome dei figli. A Venezia 81 Vincent Lindon, magnifico padre coraggio, nella provincia dei naziskin

Passato in concorso a Venezia 81, “Jouer avec le feu” delle sorelle del cinema francese Delphine e Muriel Coulin ispirate, in questo acuto spaccato sociale sulle derive neonaziste dei giovani, dal romanzo di Laurent Petitmangin, “Quello che serve di notte” (Mondadori, 2020). Straordinario, come sempre, Vincent Lindon nei panni del padre operaio e vedovo che assiste all’apprendistato violento e naziskin di uno dei due figli …

Si ama un figlio anche quando ha fatto la scelta che più lo allontana da noi, dai nostri principi, dalle cose in cui crediamo? Non ci sono risposte ovvie o facili, e forse anche per questo Jouer avec le feu delle sorelle del cinema francese Delphine e Muriel Coulin, in concorso all’81esima Mostra del Cinema di Venezia, è un film importante, pur nella semplicità del suo linguaggio cinematografico.

Tratto dal pluripremiato romanzo Ce qu’il faut de nuit di Laurent Petitmangin (uscito nel 2020 e pubblicato in Italia da Mondadori col titolo Quello che serve di notte), unisce in un’unica trama tanto i rapporti familiari quanto il dilagare di partiti e movimenti della destra più estrema.

Si scava in una famiglia non a caso proletaria – sempre che si possa ancora usare questo termine ai giorni nostri -, per cercare di capire i conflitti ideologici della Francia di oggi, l’odio tra le generazioni, la rabbia verso il mondo adulto e le polarizzazioni che troncano sul nascere ogni forma di possibile dialogo.

Se il sonno della ragione genera mostri, la provincia profonda ne può essere il più fertile terreno di coltura e infatti le sorelle registe Delphine e Muriel Coulin hanno già dimostrato interesse e una particolare conoscenza degli ambienti geograficamente ai margini: in 17 ragazze (2011), il loro primo lungometraggio, avevano indagato la gioventù cresciuta in piccole realtà urbane attraverso una storia realmente accaduta negli USA (17 ragazze, appunto, rimaste incinte contemporaneamente) ma trasferita con perfetta coerenza dalle autrici nella loro città natale, Lorient, sulla costa sud della Bretagna. Oppure le donne soldato di Voir du Pays alle prese coi traumi di guerra e ancora una volta letterario, tratto dal romanzo della stessa  Delphine.

Questo terzo film sceglie invece i dintorni di Metz per mettere in scena una storia tutta al maschile che di questi tempi non possiamo dire solo francese. Un padre vedovo e due figli, due generazioni divise da inconciliabili convinzioni politiche, dove la vergogna, il dramma e la riconciliazione (più sperata che possibile) vanno di gran lunga oltre le mura domestiche. Il conflitto tra padre e figlio, ma anche tra i due fratelli, diventa la nitida fotografia di una Francia disillusa, frammentata e in profonda crisi di identità.

Il cast del film schiera tre coprotagonisti di gran livello. Vincent Lindon è il padre, formidabile nel ruolo, col volto segnato ed espressivo oltre ogni dire anche nei silenzi e nella disperazione. Benjamin Voisin, che abbiamo già visto come co-protagonista di Estate ‘85 di François Ozon, si cala perfettamente nel ruolo di Fus, il primogenito, mentre il ruolo di Louis, il secondogenito pacato e anima conciliatrice della famiglia, è affidato a Stefan Crepon, già nel fassbinderiano Peter Von Kant sempre di Ozon.

Pierre è un capofamiglia che, nella periferia di Metz in Lorena, fa del suo meglio per crescere i due ragazzi rimasti troppo presto senza la madre. Uomo dall’etica e dignità graniticamente di sinistra, è operaio manutentore delle SNCF, le ferrovie francesi.

Fussball, in tedesco, è il gioco del calcio e il confine con la Germania è talmente vicino da rendere quei territori quasi un’area meticcia, per questo il figlio maggiore, tormentato, ribelle, e appassionato promettente calciatore, viene soprannominato Fus. Negli studi non è riuscito a completare l’istituto per metalmeccanici, mentre Louis, il secondogenito, tranquillo, saggio e riflessivo e dagli ottimi risultati scolastici, riesce ad accedere ai corsi della Sorbona.

Pur nelle reciproche diversità di carattere, negli scontri anche aspri e violenti, è palpabile l’affetto che lega il terzetto familiare. Pierre è un uomo ruvido e di poche parole, soprattutto quelle delle quali avrebbero bisogno i figli ma se Louis sa leggere affettuosamente anche i silenzi del padre, Fus li interpreta come lontananza e rimprovero.

Non bastano a Fus le scarse risorse affettive che il padre sa esplicitare, non gli bastano gli slanci di calore e non riconosce che il vuoto per la morte della propria madre è speculare al dolore per la perdita della moglie, a cui si aggiunge il duro lavoro per sbarcare il lunario e garantire una vita dignitosa ai figli.

Il ragazzo cercherà altrove quella rete di sicurezza e solidarietà. E l’altrove è la curva degli hooligan del Metz. Composta da coetanei con le teste rasate e le croci celtiche tatuate tra le scapole, appartenenti al Front National, che in chat si danno nomignoli come Dodolf. E dai volantinaggi alle risse con gli anarchici, si scivola da una piccola catastrofe a una enorme.

La storia non solo familiare ma ampiamente sociale scritta da Laurent Petitmangin, e portata sullo schermo dalle sorelle Coulin, attraverso la metafora familiare ha l’obiettivo perfettamente centrato di portarci in modo tanto acuto quanto commovente nella testa del padre, a percepire il suo dolore, il suo spaesamento e la sua impotenza nel non avere risposte alla domanda con cui avevamo cominciato: si rimane padri anche davanti alle più spaventose scelte di un figlio?