L’odissea di Samba nella Francia dei senza diritti
Un tempo terra di asilo per rifugiati in fuga da guerre e miseria, oggi paese di espulsioni e leggi contro i migranti. Il romanzo di Delphine Coulin che ha ispirato il film dei registi Eric Toledano e Olivier Nakache…

“La Francia è cambiata … Ormai esistono due Paesi, e oggi credo sia la Francia guasta ad avere avuto la meglio. Spero che l’altra riuscirà a riprendere il sopravvento… ma io non ho più la forza di aspettare”.
Lo sconforto e l’amarezza di uno dei personaggi della storia racchiude il senso più generale di Samba pour la France di Delphine Coulin (Rizzoli, pp. 270, euro 18,00), scrittrice e regista francese, scoperta a Cannes per il suo magnifico esordio, 17 ragazze. In queste pagine Coulin racconta la storia di Samba Cissé che, neanche ventenne, dal Mali arriva a Parigi “dopo aver attraversato un deserto, un mare e quattro Paesi”, dopo avere visto morire bambini, donne e uomini, disgraziati compagni di un disperato viaggio verso il riscatto. La scrittrice, attraverso il suo protagonista, ripercorrere la trasformazione della Francia da terra di asilo e di accoglienza, modello di avanguardia per l’Europa intera, in meta proibita per i rifugiati in fuga dalla miseria e dalle guerre. Messi all’indice e respinti da una regolamentazione quanto meno ostile e da una burocrazia volutamente e spietatamente ottusa. Come, se non addirittura peggio, di quella italiana.
L’umiliazione e l’irregolarità appaiono come le uniche strade percorribili per sfuggire ai controlli e ai centri di detenzione, dove Samba viene rinchiuso per avere solo chiesto notizie della sua carta di soggiorno, dopo dieci anni trascorsi lavorando, pagando le tasse e i contributi. Samba, però, non si arrende, resiste all’ingiustizia e insiste nella sua quotidiana lotta per affermare la propria identità, per rivendicare una dignità negata e aggrapparsi a brandelli di poesia e di umanità in incontri sorprendenti, amori impossibili, ricordi speciali e persino nella luce del lungosenna. “Faremmo meglio a tornarcene a casa nostra”, gli dice Lamouna, lo zio arrivato a Parigi molto tempo prima, testimone dolente e affaticato della fine di un sogno e della difficoltà di continuare a confidare “in un Paese che forse non esisteva se non nella nostalgia dei sognatori come lui”. Una disillusione con cui Samba deve fare i conti, drammaticamente, ma senza negare il suo desiderio irrinunciabile di libertà.
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