Se sboccia l’amore tra i sans papiers di Parigi

Dai registi di “Quasi amici“ una commedia agrodoloce sul mondo dei migranti clandestini in Francia. Di nuovo col “loro” Omar Sy e di nuovo tratta da un romanzo, ma meno scoppiettante…

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Omar Sy in “Samba”

Eric Toledano e Olivier Nakache sono abituati alle trasposizioni cinematografiche dei romanzi. Con Quasi amici, tratto dall’autobiografia di Philippe Pozzo di Borgo – tradotto in Italia da Ponte alle Grazie come Il diavolo custode – hanno sbancato i botteghini di mezzo mondo. Stavolta ci riprovano con Samba, tratto dal romanzo della regista e scrittrice Delphine Coulin, Samba pour la France (Rizzoli) per cui hanno richiamato in patria anche il loro attore feticcio Omar Sy, che ormai veleggia tra i lidi di Hollywood.diavolo_custode

Come nel precedente i temi a loro cari ci sono un po’ tutti. Il mondo dei migranti africani in Francia, l’incontro tra classi sociali distanti e lo scambio che rende migliori, l’ironia e la speranza in un futuro vivibile che, in questo caso vuol dire integrazione.

Il protagonista, infatti, è Samba, un sans papiers che da dieci anni si arrangia con lavoretti al nero. Arrestato e in attesa di rimpatrio in uno dei tanti centri di detenzione temporanea per clandestini, il ragazzo incontra la bella ed elegante Alice (Charlotte Gainsbourg), ex manager rampante che ha scelto il volontariato per uscire da una dura depressione.

L’incontro sarà fatale per entrambi, come in Quasi amici accadeva tra il raffinato riccone tetraplegico e il suo badante nero, rozzo ragazzone di periferia appena uscito di galera. Ci vorrà del tempo, però, perché Samba e Alice si innamorino. O meglio, perché Samba si lasci andare all’amore – sbocciato subito per lei – della ricca, borghese e nevrotica ragazza che guarirà dalla depressione grazie al colpo di fulmine.

Nel mezzo, tra denuncia e commedia, ma con toni giustamente più cupi e meno scoppiettanti del precede, c’è il racconto del dramma dei migranti, del commercio dei documenti falsi per strappare uno straccio di lavoro e soprattutto, dell’assurdità delle leggi sull’emigrazione che in Francia, come in Italia, non fanno i conti con la realtà, costringendo alla clandestinità chi vive, lavora e addirittura paga le tasse, senza alcun diritto in cambio.