Libri e cinema: c’eravamo tanto amati

Spesso sono le sceneggiature originali che producono i film più memorabili: da Metropolis a La febbre dell’oro, dai film di Ingmar Bergman a quelli di Woody Allen, da Fellini a Bertolucci, senza contare l’intera epopea del western americano fino ai film di Tarantino. Eppure i film tratti da libri sono forse la maggioranza. Il cinema, dunque, dovrebbe essere più riconoscente alla letteratura, o è la letteratura che deve rendere omaggio al cinema quando contribuisce alla diffusione di certi libri? Difficile rispondere, anche se storicamente il cinema sembra essersi giovato della letteratura più di quanto non sia avvenuto all’inverso. In ogni caso il loro resta un rapporto difficile, con un fondo di diffidenza e di incomunicabilità reciproca. Di questo rapporto è possibile individuare alcune costanti? Proviamoci, magari citando alcuni titoli come esempio:
a) non sempre i migliori film sono tratti dai grandi libri; talvolta i grandi libri si trasformano in film mediocri e viceversa: Cronaca di una morte annunciata, Anna Karenina e Suite francese sono pietre miliari della letteratura, ma i relativi film non hanno lasciato traccia; il contrario è avvenuto con Via col vento
b) solo in pochi casi il libro resta fedelissimo al film: Qualcuno volò sul nido del cuculo, Le ali della libertà. Più spesso il film e il libro da cui è tratto non hanno quasi più nulla in comune, se non il titolo e un vago riferimento (liberamente ispirato a…)
c) spesso gli autori dei libri ripudiano la traduzione cinematografica, sentendosene traditi, a meno che non siano autori o co-autori del soggetto e della sceneggiatura
d) il successo di un film può tradursi in una riscoperta del libro da cui è tratto, ma è raro
e) ancora più raro è che il film e il libro da cui è tratto ottengano un pari successo (di recente è accaduto con i libri di Izzo e con L’eleganza del riccio).
Quali considerazioni nascono da questa arbitraria e parziale classificazione? La prima è del tutto ovvia: cinema e letteratura hanno regole e linguaggi diversi. Il libro si legge, il film si vede e si sente. Ciò che nel libro ha bisogno di molte pagine per essere narrato, nel cinema può essere riassunto in uno sguardo, in una parola, in un taglio di inquadratura. Ma spesso – questo è il problema – ciò che è raccontato in un libro non può essere tradotto in immagine, e viceversa.
Quando si realizza un film il regista deve adeguarsi alle leggi dello spettacolo, assumendo lo sguardo dello spettatore: una durata che non superi le due ore, salvo eccezioni, evitare di dilungarsi in spiegazioni e voci fuori campo, che annoiano e fanno perdere concentrazione, sintetizzare il dialogo. Laddove lo scrittore può dispiegare il suo estro nella descrizione degli stati d’animo, dei paesaggi e dei personaggi, trovando spesso qui i momenti migliori della sua ispirazione, lo sceneggiatore e il regista devono inventare situazioni e dialoghi estranei alla narrazione del libro per rendere coerente e comprensibile lo svolgimento del film, la sua trama; oppure sono costretti a tagliare interi capitoli.
Da tempo molti scrittori hanno capito che avvicinare la loro scrittura ai tempi e alle leggi del cinema avrebbe fruttato una seconda vita ai loro romanzi: Graham Greene, Somerset Maugham e Georges Simenon lo facevano già agli albori del cinema; oggi molti autori contemporanei hanno preso la scia di Umberto Eco, che certo aveva in testa la riduzione cinematografica de Il nome della rosa; per non parlare di Albert Camus, Raymond Chandler, Stephen King e della folta schiera di giallisti contemporanei (uno su tutti: Andrea Camilleri). Inoltre il cinema è sempre alla ricerca di nuovi linguaggi, che spesso trovano ispirazione nella scrittura: pensiamo ai docufilm o ai film tratti da saggi e inchieste giornalistiche che riportano fatti di cronaca e di attualità, traducendoli in un linguaggio originale e talvolta poetico.
Conclusioni? Nessuna. Libri e film proseguano il loro cammino autonomo ma aperto alle contaminazioni reciproche, come in certi matrimoni sempre vicini alla rottura ma mai davvero propensi alla separazione. Che poi sono quelli destinati a durare più a lungo.
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