La rivoluzione pacifista di una sposa in autostop. Pippa Bacca (ri)vive al cinema
Nelle sale dal 5 marzo (per Wanted) “Sono innamorato di Pippa Bacca”, il doc di Simone Manetti dedicato all’artista violentata e uccisa in Turchia nel 2008 mentre conduceva, in autostop e vestita da sposa, la sua rivoluzionaria performance pacifista attraverso i paesi feriti dalla guerra. Il film ricostruisce l’ultimo viaggio (cominciato l’8 marzo) alternando immagini di allora con interviste di oggi. Una testimonianza radicale sulla forza e l’attualità del gesto di Pippa Bacca, tra tensione utopica alla fratellanza e l’esaltazione di un femminile libero e pieno di forza …
Chi era Pippa Bacca, assassinata in Turchia nel 2008? «Un’artista e messaggera di pace». Paradossale che a pronunciare queste parole, nel documentario di Simone Manetti Sono innamorato di Pippa Bacca (in sala dal 5 marzo), sia, da un filmato di undici anni fa (appena scoperto il delitto), il presidente turco Erdogan. Lo stesso che oggi porta l’ennesimo focolaio di morte in Siria e usa milioni di vite come arma di ricatto verso un’Europa già malata di xenofobia.
È la prova di quanto sia tremendamente attuale e (quindi) straordinariamente vivo il gesto (est)etico e politico rivoluzionario della donna, partita a trentatré anni con l’amica Silvia Moro per la sua (purtroppo ultima) performance itinerante, Spose in viaggio: attraverso undici nazioni toccate dalla guerra, tra l’Italia e Israele, esclusivamente in autostop, affidandosi ogni volta a sconosciuti per lanciare un messaggio di apertura, accoglienza e fiducia incondizionata nell’umanità.
Una prova che si interrompe tragicamente quando, dopo aver lasciato Istanbul, l’artista viene violentata e uccisa da uno degli autisti. Una sconfitta, dunque? La risposta che ci dà, malgrado tutto, il film è un “no” convinto. Perché da quell’azione coraggiosa (e da chi l’ha portata avanti a costo della vita) viene la rottura delle logiche di possesso e chiusura identitaria su cui si fonda ogni sopraffazione.
Questo ci suggerisce il film di Manetti, regista (e, prima, apprezzato montatore per La prima cosa bella e 1992) che già nel suo lungometraggio d’esordio, il documentario Ciao amore, vado a combattere (2017), aveva messo al centro una figura femminile forte, la campionessa di Muay thay Chantal Ughi.
Per questo nuovo docu-film il regista restituisce, in modo spesso spiazzante (come la donna di cui si parla), la personalità e l’utopia di Pippa. Lo fa sin dalla scelta di alternare testimonianze e inquadrature (pudicamente composte) del presente con i filmati e le fotografie di Pippa e della sua performance, sempre mosse, anarchiche, frammentate: sono “ritagli” (di umanità), come quelli che Pippa amava ricavare dalla carta colorata e dagli scatti di coloro che le davano un passaggio.
Ma la ricostruzione è anche (e soprattutto) al femminile. Tutte donne vicinissime a Pippa le persone intervistate: la compagna di viaggio (separatasi dall’altra poco prima che venisse uccisa), le sorelle e la madre.
Una famiglia di sei donne, quella di Pippa, dalle cui vacanze non convenzionali sul furgoncino variopinto “Arlecchino” si scoprono le radici della futura artista: i valori di un Cristianesimo evangelicamente ri(con)dotto alla sua essenza di amore (eversivo) verso il prossimo, e la convinzione, (da sempre) affermata dalla madre, che «le donne se la possono cavare benissimo da sole».
Infatti il viaggio-performance di Pippa, iniziato non a caso l’8 marzo, è un elogio del femminile come alternativa alla retorica (maschile) della violenza: dove le performer, perennemente vestite di bianco (ma un bianco che accetta, simbolicamente, di sporcarsi e sgualcirsi in nome di una libertà senza compromessi) cercano, per ogni tappa del cammino, le ostetriche che fanno nascere la vita dove gli uomini hanno portato la guerra. Donne a cui l’artista lava, evangelicamente, i piedi.
Ogni intervistata “ritaglia” a sua volta un lato di Pippa, ne restituisce il volto fatto di tanti volti (aveva diversi alter-ego, come l’eccentrica Eva Adamovich o il surreale “Coniglio Verde”). Ma tutte insieme ribadiscono la vittoria, pur nella tragedia, della scommessa di Pippa: «perché vinci se vivi» (dichiara, in chiusura, la madre): e vivi se scegli di rischiare per aprirti all’altro, contro ogni convenienza e (pre)giudizio.
Un messaggio cui il film aderisce anche nella (sconvolgente) rivelazione finale sull’origine di alcune immagini riprese dalla videocamera di Pippa. Una scelta (coerentemente) radicale, all’insegna non della rabbia («Nella rabbia c’è la sconfitta», commenta Silvia Moro), ma della tensione a cercare, nella contraddittorietà abissale della natura umana, un’alternativa. Quell’alternativa che Pippa Bacca ha espresso e continua a esprimere, con la forza viva e necessaria del suo messaggio.
Emanuele Bucci
Libero scrittore, autore del romanzo "I Peccatori" (2015), divulgatore di cinema, letteratura e altra creatività.
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