Contro la violenza sulle donne, “Io ci sono”

Martedì 22 novembre su Raiuno alle 21.15, “Io ci sono”, film di Luciano Manuzzi dedicato al drammatico caso di Lucia Annibali l’avvocata  sfigurata con l’acido da un ex, che ha raccontato la sua tragica storia nell’omonimo libro. Cristiana Capotondi nei panni della protagonista…

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Cosa spinge una donna a liberarsi da ombre di un passato (collettivo) dolorosissimo? E andando a ritroso, cosa spinge un uomo a deturpare una donna? E prima, prima che accada qualcosa di terribilmente irreparabile, perché una donna perdona tutto ad un uomo spesso violento? Perché non riesce a svincolarsi da una relazione distruttiva? Perché una donna permette l’abuso nel corpo e nell’anima?

Quesiti senza fine, un’infinità di quesiti che Luciano Manuzzi (e le sceneggiatrici Monica Zappelli e Giusi Fasano) si pongono, e porgono crudamente agli spettatori, con questo film per Raiuno, dolente nella sua anima più viscerale, nel dolore “pubblico” di mettersi in piazza come un prodotto merceologico in un mercato rionale d’élite.

Potrebbe far pensare a un film urlato, invece siamo in quelle zone d’ombra, in quella terra di nessuno, in quel cono sommesso dove il dolore si concretizza in lacrime interiori che fanno fatica a esplodere all’esterno. Lacrime dolorose soprattutto nell’ammissione di sbagliare.

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Di portare avanti una relazione nella (in)coscienza di saperla distruttiva ma, al tempo stesso, nel non sapere come arginarla, come frenarla. Paura? Incoerenza? No, solo desiderio di amare, di capire i sentimenti che legano una donna a quest’uomo violento.

Il dramma scoppia in una tiepida giornata di aprile. La donna sta tornando a casa, sull’uscio l’aspetta l’uomo: le getta dell’acido sul viso, sul corpo. Il volto sfigurato… accecata, deturpata nell’anima. Da quel momento la sua vita subisce un cambiamento radicale. Non può essere altrimenti. Ma non nel chiudersi in se stessa e nel proprio dolore, ma nel ferreo coraggio di rendere pubblica la sua storia. Di farne un emblema, di essere la bandiera di donne vessate ma, soprattutto, la bandiera della sua anima istoriata in cerca di risanar(si)…

Luciano Manuzzi, dall’alto della sua robusta sapienza nel raccontare storie realmente accadute (su tutti citiamo il film I pavoni), crea un film, dalla durissima sorte di Lucia Annibali, che travolge lo spettatore non con facili sentimentalismi ma con un linguaggio quasi da reporter nel raccontare i fatti nella loro essenza, senza gigioneggierie inutili e prive di quella forza autoriale che il bravo regista romagnolo restituisce alla pellicola.

Un racconto non facile (dall’omonimo libro della stessa Lucia Annibali). Un racconto spietato. Un racconto drammatico. Un racconto teso a raccontare tutta la verità nient’altro che la verità di una donna alle prese con la sua anima dapprima incantata, poi impaurita, infine risoluta, ma noi collerica. Un’anima che diventa l’anima di tutte le donne vessate da uomini piccoli, da uomini in cerca di donne da mortificare, da piegare, da uomini non uomini. E questo è lo snodo principale, o uno dei principali, che Manuzzi incide sullo schermo come le ferite di Lucia Annibali sono visibili a tutti. Nulla è svelato, nulla è velato, ma, finalmente, tutto accade alla luce del giorno. “Domani è un altro giorno…” E forse c’è ancora speranza…